Emil Zatopek

Emil Zatopek, dopo la guerra, si era arruolato nell’esercito cecoslovacco. Alla sera, dopo una giornata di esercitazioni di fanteria, prendeva una torcia e si faceva 20 km per i boschi. D’inverno. Con i suoi scarponi da combattimento. Quando la neve là fuori era troppa alta, si immergeva nella grandi tinozze d’acqua calda dove si lavava la biancheria, e ci correva dentro, facendo quelle che oggi gli allenatori moderni chiamerebbero vasche di sabbia. Per fare forza esplosiva, lui e sua moglie si lanciavano un giavellotto da una parte all’altra di un campo da calcio. Ma l’allenamento preferito di Emil era quello che combinava tutte le cose insieme: gli scarponi ai piedi, la moglie in groppa, e via a correre per le foreste della Cecoslovacchia.

Il suo stile di corsa era tutt’altro che elegante: “Corre come se fosse appena stato pugnalato al cuore” scrivevano i giornali. Oppure: “Sembra che stia lottando con un polipo su un nastro trasportatore”. Ma lui rideva e rispondeva: “Non ha abbastanza talento per correre e sorridere insieme. Fortuna che questo non è pattinaggio artistico”.

Quando arrivò alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, Zatopek era solo un trent’enne con pochi capelli che si allenava da solo, senza allenatore, proveniente da un paese totalmente ai margini del mondo di allora. E dato che la squadra cecoslovacca di fondisti era composta praticamente solo da lui, poteva scegliere le gara da correre. E le scelse tutte: i 5000, i 10000, e la maratona.

I 5000 e i 10000 li vinse facile. Ma la maratona… eh non ne aveva mai corso una in vita sua. Quel giorno ad Helsinki faceva molto caldo nonostante la latitudine, e a Jim Peters, il britannico che era detentore del record del mondo e ovviamente puntava alla vittoria, venne in mente di cuocere Zatopek nel caldo di Helsinki. Impose un ritmo forsennato fin dall’inizio, e al diciannovesimo chilometro erano già dieci minuti al di sotto sotto le record del mondo, quando Zatopek si avvicinò a Peters e gli chiese: “Mi scusi signor Peters, questa è la mia prima maratona… Non è che stiamo andando troppo veloci?”. “No – gli rispose il britannico – stiamo andando anzi troppo piano”. Zatopek lo prese alla lettera e accelerò. L’ironia è che il cotto alla fine fu Jim Peters, che quel giorno non arrivò neanche al traguardo, mentre Zatopek vinse. All’arrivo i suoi compagni non fecero nemmeno in tempo a festeggiarlo ché lo stavano già portando in trionfo gli sprinter giamaicani.

Non puoi pagare qualcuno per correre con una gioia così incontenibile. E non puoi neanche costringerlo a forza. Quando nel 1968 l’armata rossa marciò su Praga per sedare i moti per la democrazia, a Zatopek fu data una scelta: poteva salire a bordo con i sovietici e diventare l’ambasciatore dello sport per conto del regime. Ma decise di non vendere l’anima e così finì i suoi giorni a lavorare in una miniera di uranio.

In quegli anni c’era anche un fondista molto forte australiano, Ron Clarke, che aveva tutto quello che Zatopek non aveva: soldi, libertà, capelli. Faceva incetta di titoli locali o nazionali, ma quando le competizioni andavano un po’ oltre soffriva sempre della sindrome dell’eterno secondo. Nell’estate del ’68, dovette rinunciare alla finale dei 10000 di Città del Messico, che avrebbe stravinto, per il mal d’altura. Distrutto, prima di tornare a essere sbeffeggiato in patria, fece un salto dall’amico Emil a Praga. Mentre lo salutava, vide che infilava di nascosto qualcosa nella sua valigia. Ron pensava che fosse qualcosa come un messaggio da portare oltre la cortina; invece in aereo scoprì che era la medaglia d’oro di Helsinki del ’52; con un biglietto: “Perché te lo meriti”. Regalarla all’uomo che lo avrebbe rimpiazzato nel libro dei record sarebbe stata un’azione molto nobile da parte di Zatopek; farlo precisamente nel momento in cui stava perdendo tutto è un atto di una compassione inimmaginabile. Come disse più tardi un Ron Clarke totalmente sopraffatto: “Non c’è, e non c’è mai stato, un uomo più grande di Emil Zatopek”.

[vimeo https://vimeo.com/83487156]

adattato da Chris McDougall, Born to Run

È ora di cambiare palestra

Sto leggendo Starting Strength di Mark Rippetoe. Non c’entra niente qui la indiscutibile bontà del libro. C’entra un pensiero ricorrente che esprime coach Rip:

And if your gym is one of those places that doesn’t allow deadlifting, find a better gym. Sorry to have to keep saying this, but there may come a time when your training becomes more important than the reasons that caused you to originally choose the inadequate facility. It’s a sign that you’re becoming a lifter.

Ciò è conforme al principio universale: Abramo vattene! (Lech-Lecha). Arrivano dei momenti in cui bisogna guardare alla nostra evoluzione, e non è bene e non è giusto, come Orfeo, guardarsi indietro. Non c’entrano gli amici, le abitudini, la famiglia, i luoghi famigliari. Bisogna rompere con tutto per proseguire sul proprio cammino.

Rippetoe

Federico Buffa

Fede Buffa, The Lawyer, nasce a Milano nel 1959. Due tiri a basket nei campionati minori e conosce – tenete a mente questo nome – Flavio Tranquillo, suo allenatore. In qualche modo riesce a diventare procuratore di giocatori professionisti, nel frattempo studia e si laurea in Giurisprudenza. Ma poi, arrivano le telecronache. Prima la radio poi qualche tv locale, ma il suo talento è incredibile e nel ’92 lo chiama a commentare l’NBA… Flavio Tranquillo. Insieme formano probabilmente la coppia più formidabile di commentatori di tutti i tempi, di qualsiasi sport, anche se sono poco rinomati. È il 2012, e a commentare per Sky ci sono ancora loro.

Milanese e milanista da sempre, grande amico di Ambrosini, è una personalità poliedrica almeno tanto quanto lo era Ulisse secondo il vecchio poeta cieco. E un formidabile menestrello…

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=soFAOjUVsIM]

 

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Qui il podcast.

La dieta anti-infiammatoria

Molte persone pensano che mangiare sano voglia dire mangiare secondo ricette e prodotti tradizionali, preparati con cura dalla mani sapienti della nonna o di un buon cuoco. Se si va al di là di un’analisi superficiale, questa credenza popolare risulta tuttavia infondata. Contemporaneamente vengono demonizzati i fast-food o il kebabbaro sotto casa, probabilmente a causa della sclerosi dell’abitudine, di un certo nazionalismo dell’ora di pranzo o semplicemente della pura ignoranza.

Prendiamo la pizza, per esempio. È un alimento molto calorico, con una pessima ripartizione dei macronutrienti (una quantità sproporzionata di carboidrati), a volte non di grande qualità, se ad esempio il pizzaiolo usa pasta addizionata con glutine. Ovviamente si può fare qualcosa: prendere una pizza con qualche verdura e delle proteine, chiederla con farina di kamut, che tassa decisamente meno il sistema digerente. Ma un pasto che sia esclusivamente composto da una margherita con patate fritte (cosa di cui il sottoscritto — ammetto — andava matto), lasciatemelo dire: fa schifo.

Lo stesso, più o meno, si può dire di un buon piatto di spaghetti al pomodoro. Tanti carboidrati, poco del resto, e un abbiocco garantito.

Il problema, il grosso problema, è che la dieta non è come un’aspirina né come un bicchiere di whisky. Un’aspirina la prendi e ti senti subito meglio; il whisky lo bevi e sei subito andato. Gli effetti della dieta entrano in gioco ad anni di distanza. A me una pizza addizionata con glutine dà mal di pancia subito, ma non credo che tutti abbiano (la sfortuna di avere) un rilevatore integrato del genere. Magari hai cinquant’anni e ti viene diagnosticato un cancro e pensi, che sfiga, proprio a me. Lo accetti come un bravo agnello sacrificale, pensando che è così che va il mondo, e nel frattempo porti i tuoi figli a mangiare pizza con le patatine fritte, per tenerli su di morale. Non pensi che quarant’anni di dieta hanno infiammato il corpo portandolo a un risultato del genere.

Oppure ti viene un attacco di cuore a sessantacinque anni e stavolta pensi, che diamine, la vecchiaia. Balle, grandissime balle.

Non ho intenzione di diventare un vecchio cardiopatico o arteriosclerotico (prima ancora di non avere intenzione di diventare vecchio), quindi non ho intenzione di fare una dieta che mi infiammi, per quanto questo possa sembrare un tantino eccentrico e strappare un sorriso a qualcuno che — dice — (soprav)vive benissimo con la sua sana dieta tramandata dagli antenati (nota, la dieta degli antenati ha più o meno cinquant’anni ed è stata forgiata dall’eccellente programmazione televisiva degli anni ’60-’70). Aspetterò tutti questi alla soglia dei cinquant’anni.

Detto tutto questo, mi sono imbattuto in un eccellente post sul blog di un certo Dr. Art Ayers (nato a San Diego, CA e Ph.D. in biologia molecolare, cellulare, e dello sviluppo, qualsiasi cosa voglia dire) dove riassume le linee guida di una dieta anti-infiammatoria. Mi è piaciuto perché è molto semplice, che non vuol dire che sia facile, ma che è evidentemente frutto di analisi complessa che è stata coagulata in modo cristallino.

Componenti di una dieta anti-infiammatoria (focalizzati su carne, pesce, uova e verdure a foglia):

  • Bassa in amido e altri zuccheri semplici: l’insulina e la glicemia alta sono infiammatori; quindi usa polisaccaridi complessi (niente amido); amido solo in piccole quantità (mezza banana o una metà di un panino da hamburger) e preferibilmente in forme non trattate e meno assorbibili, per esempio integrale o coperto con grasso — pane col burro; meno di 30 g in ogni pasto, ancora meno è ancora più salutare, i cereali sono spesso un problema  — intolleranza al glutine
  • Niente sciroppo di mais alto in fruttosio (questo è usato solo in America, niente paura): alto fruttosio libero (in contrasto col saccarosio) è infiammatorio e contribuisce al crosslinking delle fibre di collagene, che significa pelle che invecchia prematuramente; il saccarosio è molto meglio che dolcificanti alternativi
  • Alto rapporto omega-3 su omega-6: la maggior parte degli oli vegetali (quello di oliva è l’eccezione) sono molto alti in omega-6, sono infiammatori e devono essere evitati; i grassi omega-3 da olio di pesce non possono avere il loro completo impatto anti infiammatorio in presenza di oli vegetali; integratori di omega-3 sono necessari per superare una presente infiammazione — da prendere assieme a grassi saturi
  • Niente grassi saturi trans: sono tutti infiammatori
  • Probiotici e prebiotici: i batteri nello stomaco sono di vitale importanza nel ridurre l’infiammazione; la maggior parte dei batteri che inizialmente colonizza i bambini allattati dalla mamma e che sono presenti in prodotti fermentati sembrano essere buoni; il latte in polvere converte velocemente i batteri dello stomaco del bambini in specie infiammatorio e dovrebbe essere completamente evitato per quanto più a lungo possibile, per permettere lo sviluppo del suo sistema immunitario (almeno sei mesi di esclusivo allattamento)
  • I grassi saturi sono salutari e riducono la perossidazione degli omega-3 nei siti di locale infiammazione (per esempio il fegato grasso). I grassi saturi dovrebbero essere la maggior fonte di calorie nella dieta.
  • Antiossidanti vegetali: frutta e verdura, insieme a caffè e cioccolato forniscono antiossidanti anti-infiammatori molto utili
  • Integratori quotidiani consigliati: 1000 mg vitamina C; 2000-5000 IU vitamina D (per produrre livelli sanguigni di 60 ng/ml); 750 mg glucosamina
  • Componenti dello stile di vita anti-infiammatorio: esercizio fisico (sia aerobico sia forza); minimizzare il grasso corporeo; igiene dentale; stimolazione del nervo vagale
Il blog è tralaltro tutto molto interessante e si chiama coolinginflammation.

Non morirò correndo

Da credere o no, ho sempre avuto un po’ paura dell’evenienza di un improvviso arresto cardiaco nel mezzo di una delle mie tante corse di decine di chilometri. Non mi piacerebbere rendere un così facile e rapido servizio a tutti coloro che mi vogliono morto. Più che altro, come tutti gli uomini, ho paura del non strutturato (direbbe l’indimenticabile Eric Berne). Questi accidenti non danno il minimo preavviso. O forse sì.

Ho scoperto che uno, forse unico, di questi segnali è la cosiddetta HRV (Heart Variability Rate) o intervallo R-R, come è chiamato dai cardiologi. L’intervallo tra due successive contrazioni ventricolari è molto molto variabile. Perché un cuore ben in forma si adatta a ogni minima variazione dello stato psicofisico del suo portatore. E’ come un elettrone con la sua nuvola di probabilità. Non bastasse questo, la HRV risulta anche essere un utile parametro di allenamento. Essa diminuisce in caso di affaticamento o in condizione di particolare stress. Quindi probabilmente non passerò più le ore ad arrovellarmi per decidermi se allenarmi (e allenamento leggero o pesante?) oppure prendere una giornata di riposo. La HRV deciderà per me. Devo essere contento o no?

Simon Wigerif, un ingegnere inglese, ne ha costrutito un sensore e un’applicazione per iPhone. E’ arrivato oggi. In una busta di materiale riflettente, raffinatezza che solo un compagno ingegnere poteva fare (lascio all’astuto lettore capire perché). Me la sono subito misurata. La normalità è tra 50 e 100, c’era scritto. 95. Sono molto triste, pensavo di essere stanco e non lo sono. Domani farò meglio ad allenarmi e ad allenarmi duro.

Approfondimenti:
http://www.elemaya.it/Xheartvar.htm
http://quantifiedself.com/2010/04/numbers-from-the-heart/ – Interessante questo, dove la meditazione sembra avere effetti incredibili sulla HRV

Consigli 2012 per Allegri

Un breve ripasso di quanto avevo detto e previsto, in tempi non sospetti, la passata stagione, e che puntualmente si è verificato. L’11 settembre 2010 il Milan perde 2-0 in trasferta a Cesena. La formazione è tipicamente ancelottiana: centrocampo Pirlo-Gattuso-Seedorf più Ronaldinho dietro a Ibra e Pato; difesa con esterni Antonini e Bonera. Due problemi si evidenziano immediatamente e dai quali sorgono i miei consigli a Max: i tre di centrocampo di Ancelotti non possono più reggere un trequartista vero e due punte, questo l’aveva capito anche Carletto che dal 2007 in poi non aveva più usato Seedorf terzo di centrocampo ma solo trequartista; secondo, c’è l’esigenza di avere terzini che spingano molto di più non solo per avere più sbocchi in avanti, ma soprattutto per costringere i pari ruolo avversari a essere più guardinghi: il mio consiglio ad Allegri era di lasciare in panchina Bonera per usare Abate, dall’altra parte se Antonini non si fosse rivelato abbastanza efficace, puntare su Janku.
Consigli seguiti? Certo, e con un po’ di ritardo, tanto che se se fossi stato al posto del presidente Belucconi si sarebbe beccato da me del “sarto”, Max.
Allegri non usa più Seedorf a centrocampo tranne che in sparute occasioni (contro Real Madrid e Roma, entrambe sconfitte, guardacaso); anche se a fine stagione, complice un momento di forma incredibile, il buon Clarence ritorna lì. Poi, a partire da Cagliari (6 gennaio) e con mia grande sorpresa, decide di impiegare il modulo con tre mediani e un trequartista funzionale come Boateng.
Per il resto, l’ascesa di Abate è stata travolgente; mentre Janku ha dato un contributo fondamentale nella parte finale di stagione (vedi gare contro Napoli e Inter) ed è stato davvero un peccato non averlo utilizzato di più.

Veniamo a quest’anno. La squadra ha trovato un suo ottimo equilibrio, come dimostrato anche in supercoppa, ma i nodi rimangono due: le prestazioni di Seedorf e di Ibra. E’ impensabile che l’olandese possa fare l’intera stagione a livello dell’ultima parte della scorsa; prima o poi la sua forma calerà e finirà inevitabilmente in panchina (e se non ci finirà, saranno fischi e dolori). Mettere un terzo mediano porta ad avere un’eccissiva mancanza di creatività in avanti. Quindi la prima soluzione è arretrare Boateng e usare Robinho (o, perché no, El Shaarawy) come trequartista. Ma è una soluzione che a mio parere porta troppo ad allungare la squadra, e quindi passabile di ottimizzazione. Penso che sarebbe bello quindi riportare giù dalla soffitta l’albero di Natale (sempre con Boateng a centrocampo e Robinho-Pato o Robinho-Seedorf trequartisti), per avere maggiore densità a centrocampo e poter impostare con i terzini in posizione ancora più avanzata (e su Taiwo e Abate, onestamente, ho grandi aspettative).
Quindi, consiglio numero uno: rispolverare l’albero di Natale.

Problema numero due: è noto che se Ibra è fuori forma può essere inutile se non dannoso (vedi Tottenham). Max dovrà avere le palle di lasciarlo in panchina quando serve. Vedremo se le avrà. L’attacco Robinho-Pato ha già dimostrato di essere capace di grandi cose, ma si può fare di più. Nell’ipotetico albero di Natale, Pato può essere un’ottima punta. Shevchenko ha fatto ottimamente in quella posizione, e avendo il papero caratteristiche simili, la situazione si può ripetere.
Consiglio numero due: nell’albero di Natale, usare Pato come prima punta.

Staremo a vedere, se avrò ragione o se Max mi sorprenderà. Ma, per favore, cerca di non farti dare del sarto dal Praz.

Aneddoto di un famoso allenatore di calcio a 5, riguardante l'annoso problema che i giocatori di calcio attuali, campioni inclusi, non sanno difendere a uomo.
Infatti, quando a calcio a 11 un attaccante riceve spalle alla porta, l'unica cosa che il difensore sa fare è starlo a guardare, indietreggiare e chiamare tutti gli altri 9 giocatori a ripiegare. 
Ecco l'aneddoto: "Je dicevo a un allenatore de serie A, di cui nun faccio er nome, ma a Mexés perché nun je dici, je insegni de far qualcosa invece de indietreggiare fin dietro 'a linea da'a porta? E quello me risponde: se io a Mexés je dico de fare una roba del genere, quello me pija per matto e me fa licenzià". Ovviamente, non facendo i nomi, l'allenatore era Ranieri.

Milan – Roma 0-1: la Roma gioca per il pareggio senza reti, ma torna a casa con tre punti.

Nel gelo di una Milano coperta di neve, Max Allegri non manca di onorare la tradizione mutuata da Ancelotti, cioè di perdere clamorosamente l’ultima gara dell’anno solare (si veda quando ancora un Milan in testa alla classifica fu sconfitto a San Siro dall’Udinese, nel dicembre 2003) .

Il tecnico livornese non cambia gli undici che hanno vinto le ultime due partite, quindi con Boateng trequartista e Seedorf in panchina. Ranieri invece lascia in panchina Pizzarro schierando un centrocampo muscolare (De Rossi-Simplicio-Brighi), così come Totti che fa spazio ad Adriano. La scelta del deludente brasiliano potrebbe essere giustificata dall’intenzione di schierare uno schema speculare a quello milanista. Le battaglie 4-3-1-2 vs 4-3-1-2 sono in genere blande e povere di emozioni, e l’impressione che si ha dai primi minuti di partita è che l’obiettivo dei lupi sia proprio quello di portare a casa un punto.

La partita comincia con il Milan che prende in mano il gioco, come prevedibile. Robinho ha subito un’occasione, dopo aver messo a sedere Mexes in area di rigore con la classica pedalata. I terzini rossoneri guadagnano campo sui pari ruolo romanisti, ma mancano di dare luogo a palle granchè pericolose. La differenza nel primo tempo la fa’ la qualità degli attaccanti: lenti quelli giallorossi, intelligenti e mobili i rossoneri. Inoltre, l’atteggiamento in fase di non possesso della Roma lascia un po’ perplessi: a un centrocampo relativamente basso si accompagna una linea difensiva alta. Palloni in avanti sulla corsa risultano facile da servire per i centrocampisti milanisti. Infatti Robinho e Ibrahimovic hanno presto una nitida occasione da gol a testa, che entrambi sbagliano. La qual cosa si rivelerà fatale.Al 21’ minuto Pirlo, che giocava come terzo di centrocampo a sinistra, è costretto a uscire. A questo punto Allegri ha tre possibilità: arretrare Boateng e inserire Ronaldinho o Seedorf, oppure Seedorf nella posizione di Pirlo. Sceglie la terza, e da subito il Milan ne risente tatticamente. A questo si aggiunga che Seedorf giocherà una partita insufficiente. Ancelotti, che per primo aveva scelto quella posizione per l’olandese, aveva smesso di utilizzarlo lì già dal 2007, non ritenendolo più fisicamente in grado di reggere il ruolo. Allegri ci aveva riprovato a inizio stagione, con pessimi risultati (si vedano le sconfitte di Cesena e Madrid). La decisione appare quindi ingiustificabile, se non con una netta sottovalutazione della pericolosità di Menez.

Menez è infatti l’unico giocatore a creare gioco nello scacchiere per il resto piuttosto passivo della Roma. Partendo dal centro e spostandosi alternativamente su una fascia o l’altra, riesce a dare ampiezza e pericolosità alla manovra. Se dalla parte sinistra del campo trova Abate e Gattuso a bloccarlo ripetutamente, dall’altra ha la vita molto più facile, con la possibilità di puntare Antonini in 1 vs 1. E’ infatti da un’azione del genere che nasce il gol dellla Roma, con Borriello che involontariamente mette dentro un cross teso del francese rimpallato da Abate.

Ci si potrebbe chiedere come Allegri avrebbe potuto bloccare Menez pur mantenendo Seedorf in quella posizione. Una soluzione sarebbe stata chiedere a Gattuso di seguire a tutto campo il francese, con gli altri due centrocampisti che sarebbero andati a scalare di conseguenza. Visto la scarsità di inserimenti dei centrocampisti della Roma, è una soluzione che sarebbe stata possibile, ma è difficile vedere qualcosa del genere nel calcio moderno.

Il secondo tempo, a parte il lampo di Menez e con Ranieri che aveva sistemato la difesa nell’intervallo, è proprio quello che ci si aspetta da due 4-3-1-2: noia. E’ scioccante solo la mancanza di un piano B rossonero. Anche sotto di un gol, Allegri non pensa di allestire un’alternativa a quello che si era visto nella prima ora di gioco. Ronaldinho entra solo a 5’ dalla fine, quando ironicamente il Milan comincia ad affidarsi alle palle lunghe, con Seedorf spostato nella posizione di regista.

In sintesi, una Roma che era giunta a Milano per difendersi, torna a casa con i tre punti grazie all’unico giocatore a dare larghezza al gioco: Menez. Ad Allegri sono mancati i gol: se non Robinho, di sicuro Ibrahimovic ci aveva abituati a non sbagliare occasioni così nitide (almeno due oggi). Il Milan è anche sembrato preoccupantemente privo di idee su come ribaltare la partita, una volta in svantaggio.

Barcelona – Real Madrid 5-0: per Mourinho il più classico degli incubi, ma ad occhi aperti

Puntuale come il regionale per Berna, è tornato il Barcelona a funestare le notti d’autunno di Josè Mourniho. Dall’eliminazione in Champions ai tempi del Chelsea, alla figuraccia rimediata dall’Inter giusto un anno fa. E ieri il peggior capitombolo della storia del Real Madrid.
Pep Guardiola non si cura di eventuali squilibri difensivi schierando Dani Alves sulla destra; Iniesta arretra a centrocampo con Xavi e Busquets, Pedro è il terzo attaccante con Leo Messi nel ruolo di falso nove.
Mourinho sorprende tutti non facendo il mourinhano: non tocca il suo 4-2-3-1 lasciando Özil in campo al posto di Lassana Diarra. Probabilmente avrebbe voluto evitare le critiche della stampa spagnola che non mancano di definirlo “difensivista”, ma alla resa dei conti è stata la scelta peggiore che potesse fare.

Il vantaggio numerico del Barcelona a centrocampo (3vs2) si fa sentire sin dall’inizio, ancor di più nelle occasioni in cui Messi scende a prendere palla (e lo fa frequentemente). Se a questo aggiungiamo un non eccelso contributo di Ronaldo e Özil alla fase difensiva, risulta logico il dato del possesso palla dopo 20’: 70-30 per il Barcelona.
Infatti il punteggio è già sul 2-0: nel primo gol Iniesta, dopo essersi attirato l’attenzione di Alonso, Khedira, Ramos e Pepe, mette un filtrante per Xavi, mal tenuto in gioco da Marcelo. Nel secondo è Villa, dalla linea di fondo, a incantare tutti I 4 di difesa del Madrid. E’ dato a Di Maria il compito di seguire Pedro, che ovviamente sulla palla in mezzo lo anticipa. Incredibile come I due centrali, Pepe e Carvalho, ipnotizzati dal pallone non si siano curati di eventuali tagli alle loro spalle, e ancor di più di dove diavolo fosse Villa.

Il Barcelona a questo punto metta la folle e il Real Madrid sente di dovere fare qualcosa in più. Ma i terzini bianchi, Sergio Ramos e Marcelo, hanno ormai troppo paura: non si fidano a mettere la punta del piede oltre metacampo. Così facendo è molto dura, visto che I raddoppi sulle fasce verso Ronaldo e Di Maria risultano facilissimi. Una punizone da 30 metri di Ronaldo è infatti l’occasione migliore per il Real Madrid.
Il secondo tempo si apre con un enigma: uno spento Özil fa posto a Lass. Sembrerebbe una mossa per “non prenderne dieci”, ma dai primi minuti si capisce che non è così: Morinho vuole un rubapalloni in più in mezzo al campo per spezzare il possesso palla avversario. La manovra non riesce molto, e anzi l’unico effetto che procura è un uomo in meno in attacco per il Madrid, senza che Marcelo e Ramos si sentano di poter spingere quanto dovrebbero.
A questo punto si aggiunge la follia delle follie. E’ chiaro che entrambe le squadre tendono a tenere una difesa alta, e sono vulnerabili sulle palle a scavalcare l’ultima linea. Si vedano i due recenti gol di Pippo Inzaghi contro il Real Madrid. Pep Guardiola sembra aver catechizzato bene i suoi, che infatti tengono bene i quattro relativamente bassi. La linea difensiva del Real Madrid invece, progressivamente si alza.

Messi scende ancora più a centrocampo, non seguito dai centrali avversari, mantenendo quindi la superiorità numerica del Barcelona (4vs3). A questo si aggiunge l’opzione in più rappresentata da Dani Alves, sempre alto in fase di possesso con la difesa della squadra di casa schierata a tre. Villa e Pedro si allargano all’inverosimile sfidando direttamente I terzini. Da palloni a scavalcare la difesa sulla corsa di Villa, Pedro, e successivamente Bojan, nascono gli altri terzo gol blaugrana.

In conclusione, Mourinho ha dimostrato di sapere come fermare il Barcelona, ma sembra di non averlo voluto fare, optando per un altro tipo di partita e sbagliando totalmente la gestione in corso gara. Guardiola ha dato l’ennesima dimostrazione della qualità del gioco espresso dal suo collettivo.

Lungo post obbligato sul mondiale

Ultimamente mi occupo meno di calcio. Non riuscirei a dirne bene il perché, forse è che tutto è sempre uguale sotto il sole, e io congiunturalmente mi annoio. Però, visto i recenti eventi (Italia clamorosamente fuori dal mondiale) mi sento in dovere di commentare. Soprattutto perché ho visto la mancanza di commentatori adeguati: Sky la ammiro ma non mi abbono, e in Rai Beppe Dossena è troppo solo.

Onestamente abbiamo fatto peggio di quanto immaginassi. Avevo più fiducia in Lippi e nella sua capacità di fare scelte. Ero convito che avremmo comunque fatto la nostra magra figura.
Invece no.

Sbagliate sono state le convocazioni. Da buon milanista, mi avevano fatto arrabbiare le esclusioni di Borriello e Storari. Il primo ha dimostrato nel corso del campionato di essere una gran prima punta, uno che riesce sempre a prenderla prima del difensore per appoggiarla alle seconde punte. E' un lavoro che Gilardino in una partita e mezza non ha dimostrato di saper fare, e visto che Gila è anche privo di grandi fondamentali tecnici (il dribblig gli è estraneo, il palleggio quasi), non si capisce in cosa sia preferibile a Borriello. Storari poi non è mai stato neanche nominato, nemmeno dai giornali. Eppure negli ultimi 12 mesi è stato il migliore portiere italiano. Basta aver seguito minimamente il campionato oppure semplicemente consultare il sito della Gazzetta e guardare la media voto del campionato: 6.50. Sotto di lui Julio Sergio, Castellazzi, Dida (eh sì), Frey, Abbiati, Sirigu, Viviano, Sorrentino, Rubinho, Curci, Gillet, Andujar, De Sanctis, Buffon, Amelia, Julio Cesar, Marchetti. Insomma abbiamo giocato col 17° portiere del nostro scorso campionato. Non male. In questo campionato del mondo abbiamo incassato cinque gol; metto la mano sul fuoco che Storari due ne avrebbe parati.
Sono stati lasciati a casa anche G. Rossi, fondamentale nella Confs Cup, con la motivazione che aveva giocato poche partite (perché Camoranesi, Iaquinta, Buffon?); Ambrosini (che ammetto poteva non servire), Miccoli e Cassano. Aggiungo che ho visto giocare Antonini molto meglio di quanto abbia fatto Criscito in queste partite. 

Capitolo formazione. Su Quagliarella non c'è altro da dire, se non che era l'unico in palla già in amichevole, e allora si doveva schierare, se è giusto che giochi chi è in forma. Maggio è stato tenuto fuori perché non difende. Ma la difesa ha fatto acqua e allora si poteva anche rischiare. I centrali si sono dimostrati decisamente privi di sincronia, cosa ancor più grave perché hanno giocato insieme tutti l'anno. Errori individuali è stato Cannavaro a commetterli, ma Chiellini si è dimostrato il più in difficoltà. Non sembra quel fenomeno che molti pensavano. Gilardino è stato del tutto inutile, Iaquinta giocando da esterno. Camoranesi sembrava un personaggio in cerca d'autore. Marchisio un pesce fuor d'acqua. L'assenza di Pirlo è stata pesantissima. Con la Slovacchia sembrava l'unico centrocampista consapevole dei propri mezzi. Ci sono volute due partite e mezza per trovare il modulo giusto (4-2-3-1).

Domani questo post continua.

Tempo dei pronostici. Quattro anni fa non ho fatto pronostici. Due anni fa ho azzeccato Spagna (vincitrice) e Russia (rivelazione). Quest'anno dico Brasile. Il Brasile meno brasiliano della storia. Gli Oranje sono fenomeni come sempre, ma non vinceranno mai nulla. La sorpresa? Ho visto un buon Giappone, ma probabilmente verrà dal Sudamerica: Uruguay.