Mentre facevo una coda educativa alla segrateria studenti nella piovosa mattinata di un Aprile, leggevo un passaggio indimenticabile di quell’uomo che, insieme a pochi, riesce a leggere l’approccio conservatore al mondo di oggi:
“Da sofisticate persone moderne abbiamo l’abitudine di considerare i nostri valori come se non ci appartenessero affatto, come se fossero i valori di un bizzarro estraneo che deve essere inserito nel contesto e al quale ci sentiamo fastidiosamente superiori. Abbiamo tutti una certa familiarità con i sentimenti di Prufrock – le aspirazioni e la visione della vita più profonde di quelle del resto della gente, e contemporaneamente, il timore di essere respinti e derisi – che, nel bel mezzo delle nostre più calde passioni, ci ricordano che forse sbagliamo sia nel presumere sia nell’osare.”
Ho alle spalle troppi mesi di pigrizia intellettuale. Sono coincisi, e non è un caso, con i mesi di inattività di questo blog. E’ quasi finita l’estate, e ho voglia di togliere la mia mente dalle tenebre nelle quali era stata immersa. A partire dal ragionare di nuovo per iscritto, e rimettere un po’ in sesto questo blog. Sperando che nel frattempo l’HTML sia cambiato poco.

Sono stato a vedere un settantacinquenne, un uomo del ’34, bevitore professionista, ebreo errante dalla nascita alla morte, suonare per due ore e mezza in una piazza san Marco sempre minacciata, ma alla fine graziata, dalle nubi che la sovrastavano. Mi dà molte speranze per il futuro e la vecchiaia, L. Cohen. Ha passato sei anni in un monastero Zen, dove prevalentemente beveva (cognac, whiskey, vino rosso) col maestro Seasaki Roshi, 94 anni. Sul palco era minuto, sempreverde e sempre in evoluzione nella voce, circondato da una squadra fidata costruita negli anni, e destinata a rimanere sempre uguale. Un silenzio irreale era calato quando dopo “Dominus vobiscum, God bless you”, aveva cominciato a recitare le ultime parole di benedizione per la sua folla in ebraico, dal libro dei Numeri.

Go Lance, go. Il sogno di vederti ancora in giallo è forte. Ancora più grande sarebbe la visione delle facce insù dei francesi, costretti ancora a guardarti sull’alto del podio. Mi devi spiegare come hai fatto, in tutti questi anni, a mantenere intatta la tua camaleontica squadra; e adesso, addirittura, tu, Bruynel, Leipheimer, correte addirittura per il governo Kazako.

Ricardo se ne va. Non che prima ci fossero dubbi. Mi piace pensare che Kakà verrà ricordato per quello che ha fatto al Milan, e che sia una geniale operazione di Silvio per riaverlo, fra due anni, a meno della metà. La verità è che gli errori li ha fatti la dirigenza: in questi anni non ha mai costruto la squadra intorno a lui come avrebbe dovuto, e come aveva detto. Ha incrinato i rapporti a gennaio, quando aveva fatto capire che l’avrebbe potuto vendere, per soldi. Non se lo aspettava. Forse un po’ di colpa ce l’ha anche l’ingegner Bosco, che, smentendo sempre le dichiarazioni del figlio, in questi anni si è seduto al tavolo con tutti. Al Manchester City non poteva andare, è troppo intelligente per non capire che l’etichetta del “one hundred million pound player” gli sarebbe stata troppo pesante. Va al Real, squadra che ha sempre ammirato.
Penso che Ricardo terrà ancora il Milan nel cuore.

C’è un post che cerco da tempo, ma ad ogni modo sembra non esistere. Così lo riscrivo. Quando RossoAlice era il massimo che uno potesse desiderare, e in studio c’erano Ricky Buscaglia e Federico Buffa, un bel giorno, dopo una prestazione magistrale di Cafu, Ricky domandò:"Ma da dove trova la forza, un giocatore di 37 anni, per continuare ad allenarsi e fare prestazioni del genere?". E Fede, magistrale, rispose:"Se mi concedi quattro lettere, io dico Fede".

Ho scoperto che Leonard Cohen sarà a Venezia il 3 Agosto, in Piazza san Marco. Forse c’era un motivo per non prendere e partire per Santiago, o forse no. Un giorno avevo trovato una foto di Leonard Cohen, scattata da un suo fan che l’aveva incontrato mentre visitava un museo. Era vestito con una camica a maniche corte a quadri, rimboccata nei pantaloni di tela; i capelli pettinati con la brillantina. Un pensionato come molti.

Una magica giornata al Penzo. Senza dubbio. L’ultima di Paolino Poggi, che ha salutato i suoi tifosi battendosi più volte il petto, e una gran partita. La pioggia e il tempo inglese hanno reso tutto più magico. Drascek mi ha impressionato.

Dire un rosario all’aperto, ieri sera, sulle montagnole che occupano lo spazio qui dietro è stato suggestivo. Sono stato però costretto a constatare l’inferiorità della preghiera in italiano rispetto a quella in latino. Le parole mi suonavano poco aggraziate e a tratti mi si bloccavano in bocca; un abisso rispetto alla scorrevolezza e all’eleganze della lingua dei padri. E abbiamo saltato il memorare, ben presente nel programmino del rosario, che io, smemorato, ho preso per l’iPhone.