Tutto è già stato
Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso.
L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!

Guarda questa porta carraia! Nano! Continuai: essa ha due volti. Due sentieri convergono qui: nessuno li ha mai percorsi sino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità.

Si contraddicono a vicenda questi sentieri; sbattono la testa l’un l’altro: e qui, a questa porta carraia essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo". Ma chi ne percorresse uno dei due – sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?
Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".

Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse aver già percorso un’altra volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che “possono” accadere essere già accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto è già esistito: che ne pensi tu, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra in modo tale che quest’attimo trae dietro di sé tutte le cose a venire? Dunque anche sé stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche questa lunga via “al di fuori” – deve camminare ancora una volta! E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna, ed io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti – non possiamo esserci tutti stati un’altra volta?
E ritornare a camminare in quell’altra via al di fuori, davanti a noi, in questa orrida via – non dobbiamo ritornare in eterno?

Tutto è già stato.

Tre corsivi
«Un caso da manuale di autismo digitale — commenta Andreoli —. Si finisce per sostituire col cellulare le persone reali. La tentazione è forte: sul video si cancella con un dito quello che non piace, si fa tacere subito la voce che non si vuole sentire. Pensiamo invece a quanto è difficile far tacer la mamma o il fidanzato assillante dal "vero"».

I genitori sono sempre una magnifica scusa. “Rossi cosa fai con quel telefono? Spegnilo immediatamente e portamelo”. “Ma prof c’è mia madre che non sta bene devo restare acceso”, e comunque è vero, i genitori chiamano i figli in classe per avvertirli che questo weekend si va a sciare, o che faranno tardi al lavoro, o per sapere com’è andata l’interrogazione. “Prof se vuole le passo mia madre, lei è d’accordo che lo uso a scuola”. “Prof se lo spengo mio padre arriva a scuola”. E una preside di una scuola media in provincia di Bologna è stata denunciata da un genitore perché aveva sequestrato il telefonino al figlio che lo usava durante le ore di lezione.

Eravamo evasi da una scuola sgangherata, dove era difficile attirare e tenere l’attenzione degli studenti. Con i telefonini le cose sembrano peggiorate molto. “Ma di rimedi si discute?”. “Di rimedi a cosa? Alla scuola com’è o all’impero della telefonia scolastica? Nella scuola ha girato ed è tornato a girare una circolare che vieta l’uso dei telefonini in classe. Ma alla fin fine gli unici deboli, inefficaci strumenti sono le valutazioni”. Nessuno si è mai azzardato a sequestrare un cellulare, sempre per non scatenare le reazioni imprevedibili, o fin troppo prevedibili dei genitori. Tanto più che in concomitanza della diffusione dei cellulari si è verificato un fenomeno curioso. Gli studenti non approfittano più come un tempo di ogni occasione per restare fuori. La scuola per loro non è più un luogo separato dalla vita. Non è più neppure un luogo noioso. Per evadere, per riallacciare i rapporti con il loro mondo, gli basta premere qualche tasto.

C’è una notizia di oggi, riportata in italiano, che dice che Symantec ha classificato Windows (XP, suppongo) come il sistema operativo più sicuro, seguito da Red Hat (Enterprise, suppongo) e da Mac OS X. I parametri seguiti sono stati il numero di vulnerabilità scoperte negli ultimi mesi e il tempo impiegato per risolverle.
Ora, c’è molta propaganda contro Microsoft (vuoi perchè tende al monopolismo, vuoi perchè è americana, vuoi perchè non ha quasi mai aperto i suoi sorgenti) che però è cieca di fronte a questa semplice legge: le vulnerabilità (scoperte) di un sistema (o di un’applicazione) sono direttamente proporzionali alla sua quota di mercato. Microsoft ha sempre posseduto il 70-80% del mercato e ha avuto sempre un casino di rogne con le sue vulnerabilità. Ultimamente, è stato indetto un "Month of the Bugs" per Mac OS X, un grande mese di ricerca delle falle di OS X, e si procedeva a un ritmo di 3-4 al giorno! Stessa cosa vale, prendiamo, per Firefox. Ok si continua dopo. Ora vado.

Cebit 2007: nihil sub sole novum
Il Cebit è una grande fiera che si tiene ogni anno ad Hannover. Una grande fiera, la più grande al mondo nel campo dell’informatica e della tecnologia. Migliaia di persone, centinaia di stand, una baraonda totale, luce abbagliante. Ma nel casino, novità? No, è tutto uguale all’anno scorso. Se non che è tutto ingrossato. Le console di nuova generazione? Versione pompata di quelle vecchie. I telefonini? Solo con una fotocamera migliore di quelli dell’anno scorso, uno schermo più grande o altro, basta che sia ingrandito. Ram da 800 a 1600 Mhz, alimentatori da 1000 a 1500W. Tutto questo è successo in un anno, ma non è nulla di nuovo.
Una sola l’eccezione, una solo la stravagante novità, progettata da un ingegnere giapponese: il gamepad a telecomando, rivoluzionario, del Nintendo Wii. Solo questo di nuovo sotto il sole.

Natale da barboni
Gavin Bryars è un artista contemporaneo difficile da inquadrare, in certi negozi lo troverete nel reparto jazz, in certi altri in quello colonne sonore, in altri in quello classica. Ha fatto musiche per film, programmi tv, opere teatrali. Un giorno di dicembre stava girando per Londra con un registratore in mano, cercando qualche suono cittadino per un programma della BBC, e si imbattè in un barbone probabilmente ubriaco che strascicava in continuazione tra i pochi denti il ritornello di una canzone. Cioè, non proprio una canzone, ma una specie di canto di Natale, "Jesus’ blood never failed me yet" (il sange di Gesù non mi ha mai tradito finora). Gavin conservò quella registrazione di una trentina di secondi, ogni tanto la riascoltava, pur non sapendo cosa farne. Finchè non uscì il disco. Settantatrè minuti in cui la piccola strofa del barbone di Londra si ripete circa centocinquanta volte, accompagnata da un arraggiamento orchestrale che da qualche arco va via via sempre crescendo, fino all’intera orchestra e a una seconda voce solista, che non poteva essere altro che quella di Tom Waits.

La natura è un tempio dove incerte parole…
Com’era, corrispondenze vero? Sì, corrispondenze diceva Baudelaire. Il poeta è colui che riesce a cogliere nel mondo corrispondenze che nessun altro coglierebbe. Insomma, si può tutto ridurre a questo, corrispondenze certo eccezionali e sorprendenti, ma pur sempre semplici e banali corrispondenze. Così le corrispondenze le faccio anch’io, sarà che è Dicembre ed è un bel mese, sarà che oggi sono andato a Venezia dove hai tutto un ponte, andata e ritorno, per meditare. Oltre a quegli uffici UniCredit, tanto ordinati e tanto all’apparenza sereni, così totalmente trasparenti che squarciano la notte col loro piano di luce, che non so per quale motivo dovrei elevare a concetto. Cosa ascoltavo oggi? Gli Idlewild, ma visto che quella volta ascoltavo i Radiohead, li ho riascoltati un’altra volta. Per memoria. O meglio ho riascoltato quella canzone, volevo ma è lo stesso sfuggita via oltre i miei pensieri, e quando mi sono ripreso ormai era alla fanfara finale. Dolce e paziente attesa quella portata molte volte per arrivare  a quel punto della canzone, e oggi me ne sono accorto solo quando era sul finire.
Avrei voluto rimanere di più, ritornare ed esplorare quell’angolo scoperto sempre quella volta, ma ero di fretta oggi, e comunque soffiava vento gelido che mi ha rincuorato sull’arrivo dell’inverno e mi ha infuso un po’ di spirito natalizio. Così sono andato via soddisfatto. E comunque, ho potuto fermarmi a vedere qualche scorcio d’acqua, colore del vino.

Iconoclastia
Scriveva Joseph Ratzinger, quando era ancora cardinale: “L’iconoclasmo come una negazione dell’incarnazione, come la somma di tutte le eresie. Incarnazione significa anzitutto che Dio, l’invisibile, entra nello spazio del visibile, perché noi, che siamo legati al materiale, possiamo riconoscerlo”.