Oggi non potevo mancare. Nonostante il freddo, mi è troppo cara questa annuale visita a Venezia di notte, questo rituale passaggio sul ponte votivo, questa lenta processione da una all’altra basilica. E poi ho un mal di gola che la Madonna mi guarirà.
Le volute del Longhena oggi erano inviluppate dalle impalcature, ma nevermind. Anche se non ho potuto ascoltare tutto, ho atteso le parole conclusive del card. Scola, che non si sono fatte aspettare. Preso il microfono in mano, ha cominciato ad avanzare tra la folla, cominciando a parlare ritto sui gradini del presbiterio, in modo che tutti potessero vederlo. Il solito Du Stil, la solità incisività. Peccato essermi perso la prima parte. Ma mi sa che prenderò il libro dei suoi discorsi ai giovani.
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Da una rivista di nuova edizione, Europaitalia, leggo qualcosa da far venire i sudori freddi alla nostra migliore elite intellettuale. Le dodici stelle che compongono la bandiera dell’Unione Europea non sono – come si racconta ai bambini – il primo nucleo di dodici stati o i dodici mesi dell’anno; sono invece, nello spirito degli ideatori, le dodici stelle che circondano il volto della Vergine Maria nella visione dell’Apocallise di Giovanni. “Sul palazzo dell’Ecumenismo laico della nuova Europa sventola la bandiera mariana”.
Una botta alla testa mi sta trattenendo in uno stato di confusione da tre giorni. Scriverò anch’io un poema filosofico per intervalla insaniae?
Stanotte, un tuono più forte dell’altro. Stamattina, una sirena più forte dell’altra. Ma cosa sta succedendo? Si stava tanto bene nel caldo delle coperte, col rumore della pioggia a cullarti ancora. Mi alzo, e guardo fuori: neanche male. Traffico sì, ma ne ho viste di molto peggio. Marghera è deserta, in via Rizzardi sperimento l’emozione di andare sull’acqua in macchina. Sembra un hoovercraft. Poi arrivo in Corso del popolo. Qua, ahia, è dura. Ci sono i vigili in tenuta catarifrangente. Ma io so il trucco, vado per le vie interne. Perfetto, la prima è allagata, ma tanto allagata che hanno messo tre cassonetti per traverso a bloccare le macchine. Mi giro e torno a casa.
All’una atterro in aeroporto. Un quarto d’ora ad aspettare giù.
Mi butto a letto. Sul cuscino un odore insopportabile: Ginepro. Sono a casa.
Stanotte si è fatto vivo, anzi redivivo, uno dei miti della mia infanzia. Anche se l’assenza di quella sigla "CMR" mi fa piangere il cuore. Comunque sono pronto. Quattro destra in tornante stretto sinistra, duecento. Evvai.
Si ricomicia. Nulla è più come prima ma si ricomincia lo stesso. Il campionato è ricominciato, anche se non ci sarà nessuno a spiegarmi i movimenti di quei cinque là davanti della Roma, è ricominciato lo stesso e i movimenti cerco di sforzarmi a capirli io.
Stamattina ho sentito il mio vecchio allenatore. Vecchio. Talmente vecchio che io pensavo non riconoscesse più la mia voce, e lui che fossi ancora nella sua squadra. Comunque non so ancora se in questa squadra mi troverò bene o male. Per il momento non c’è nulla di negativo, e già questo è molto. Certo girano come delle trottole. Ma questi palloni ufficiali mi esaltano, e finalmente le gambe ci sono. Ci sono per dare una pressata in più. Ma le voglio per dare due, cinque, dieci pressate in più.
Venti giorni che mi alleno ormai. Oggi sono tornato in palestra. Sai com’è il 28 agosto non c’è nessuno, ero solo ad allenarmi. Ma è bene. C’è un po’ di ascesi.
Ora ce l’ha anche questa ragazzino craccatore di iPhone, nella foto del NYT.
L’ho vista addosso ad allenatori che rilasciavano interviste ai microfoni della tv. L’ho vista addosso a ospiti dei talk show. Ma quella camicia io ce l’ho da tre anni. Prima di tutti voi.