Qui si fa raramente qualcosa senza uno scopo. Yogo e Fujihara (2008) hanno dimostrato che scrivere di un fatto traumatico (o dei propri problemi), per 20 minuti qualche volta al mese, migliora la memoria in modo misurabile. 

Ieri avrei dovuto correre la Moonlighthalfmarathon. Avrei dovuto. Ci sarebbe da chiedersi perché questi dannati organizzatori (sempre quelli della maratona di Venezia) ha la mania di dare il nome in inglese. Siamo nel 2011, il nome in inglese non è più di moda. Andava di moda negli anni '70, '80. Ora si rivaluta la località, per dirla come direbbe uno Zaia qualunque. Anche sulla scelta del nome c'è da chiosare: "moonlight" sa tanto di anni '60, quando la notte era un territorio ignoto tutto da conquistare. Ora ha annoiato. Quindi, suggerimento ai quei matusalemme degli organizzatori: la parola magica, nel XXI secolo, è "sunset". Ma sto divagando. 
Il fatto traumatico è che, ore quattro del pomeriggio, mi presento in piazza Mazzini a Jesolo per ritirare il mio pettorale, quando mi sento dire che sul certificato medico per l'attività agonistica deve esserci scritto "Atletica leggera". Per chi mi hai preso, per un pirla che passa la sua vita a saltare lungo dentro una vasca di sabbia? A saltare ostacoli mentre corre? Preferirei lavorare in una manifattura tessile cinese. E' sicuramente più divertente. A parte la somma offesa, il problema è stato che non ho potuto correre, ieri sera. Ho vagliato rapidamente le possibili soluzioni rapide. Avrei potuto saltare il bancone e prendermi il pettorale con la forza. Ma l'ho scartata. Avrei potuto falsificare il certificato. Averlo saputo solo un paio d'ora prima, sarebbe stato bellissimo. Odio quando qualcosa non va come avevo previsto, perché io in genere prevedo tutto. Ma hanno pensato bene di scrivere quella clausola in modo ben nascosto, in modo da non precludersi subito una buona fetta di iscritti.
Anyway, non c'è nulla che si può fare. Il sistema è assurdo e non puoi sprecare le tue energie battendo la testa contro un muro. "Davanti alla legge c'è un guardiano", come diceva Kafka. L'unico modo è combattere al di fuori delle regole del sistema, sul terreno che ti scegli tu. Per cui oggi mi preparerò uno, cinque, dieci certificati falsi, per l'atletica leggera e per tutti gli sport che voglio, briscola inclusa. E per i prossimi vent'anni della mia vita. Fanculo a tutte quelle visite idiote.

Oh tempora, oh mores!

Ho inviato questa email al mio Professore di Meccanica Applicata 2:

Egregio Professore,

mi trovo stranamente – molto stranamente! – a condividere le sue affermazioni sul mondo che cambia, anzi che è già cambiato. Un po' mi ricordano i discorsi di mio padre, il quale anno più anno meno ha la sua età, e che periodicamente sopporto. Ma se togliamo la patina superficiale dell'endemico lamentarsi sui tempi nuovi all'avanzare dell'età, penso che lo stesso ci sia molto da riflettere.

Ho provato sgomento, qualche tempo fa, a vedere i miei colleghi protestare e scendere in piazza contro la riforma dell'università. Non per la violenza. Ho provato sgomento anche per tutte le espressioni più pacifiche. Non ho mai capito bene contro cosa protestassero, questi miei colleghi. Di sicuro non contro la riforma.

Ho trovato in loro un odio diffuso verso qualcosa di totalmente indefinito e nebuloso (lo stato, il governo, il mondo, l'assenza di futuro). Alla fine non resta che un'unica ipotesi valida: "Si odiano gli altri perché si odia se stessi", diceva Cesare Pavese. 

Costoro protestavano contro se stessi, e probabilmente si odiano perché sono persone poco coscienti di sé, infelici perché incapaci di comprendere se stessi e il loro posto del mondo. Davvero un pugno di monete calate dall'alto fanno la differenza tra il "sol dell'avvenir" e un futuro nero? 

 

C'è però da dire che il quotidiano lavaggio del cervello operato dalla televisione va solo in questa direzione: la povera studentessa laureata con 110 e lode in "scienze delle merendine" e ora commessa al supermercato, al cui capezzale corrono frotte di giornalisti vampiri impazienti di confezionare la storia nel modo più tragico possibile. Ci vuole una pelle molto spessa per resistere a questi continui mantra negativi, e non tutti ce l'hanno.

 

Neanche la politica aiuta. Il suo "nessuno studente si è mai preoccupato di pulire i cancellini della lavagna, perché a lui non compete", esemplifica bene la transizione da un mondo fondato sui doveri e sulla responsabilità e l'iniziativa (il suo) e uno fondato invece sui diritti e sulla burocrazia (il nostro). 

Scrive un filosofo contemporaneo, Roger Scruton: "I diritti universali dell'uomo sono stati stabiliti dai filosofi classici liberali, tra cui Locke, all'interno del concetto di libertà, innanzitutto stabilendo le cose che possiamo fare (spostarci, possedere proprietà, respirare, agire autonomamente) e che nessun altro può impedirci di fare. Ora, invece, i diritti universali sono visti come pretese – richieste che gli altri non sono in grado di soddisfare – come il cosiddetto "diritto" a un certo standard di vita, di benessere, di sicurezza del proprio lavoro. Questi diritti possono essere ottenuti solo costringendo gli altri a renderli applicabili. In questo modo, le nuove forme dei diritti umani sono in realtà strumenti d'oppressione".

Persino la nostra costituzione vorrebbe garantire il "diritto al lavoro". Che chiaramente non è un diritto, ma un bisogno! Tutti hanno bisogno di lavorare, ma lo stato dovrebbe costringere qualcun altro a darci un lavoro. E' questo un diritto, che si garantisce attraverso un'azione dispotica? Ovviamente no, e infatti il "diritto" oggi non è rispettato, altrimenti l'occupazione sarebbe al 100%.

 

Vedo le nuove generazioni così accecate dal lamentarsi sui diritti che avrebbero e che non sono loro garantiti, da dimenticarsi che il futuro ognuno se lo costruisce con le proprie mani, e che ognuno ha – alla fine dei conti – il futuro che si è scelto di avere. Per fortuna, però, il mondo ha dimostrato di avere degli straordinari meccanismi di compensazione, e alla fine le cose non vanno mai così male come si pensava sarebbero andate.

 

Se è arrivato fin qua a leggere, la ringrazio.

Intimità unilaterale

Se cerchi consigli su come conquistare l'universo femminile, non chiedere a una donna. Sono dei totali fallimenti nel mettere gli uomini sulla buona strada, garantito. Ne dovessi trovare una capace di consigliare le cose giuste, penso che sarebbe sufficiente per farmela sposare sul momento.

Quello che più o meno tutte dicono, è che bisogna solo "essere se stessi", e una cosa verrà naturalmente dopo l'altra. Vedono con squallore l'idea che un processo di seduzione debba essere qualcosa di forzato e artificiale. Come se a loro il Rimmel sulle ciglia si depositasse spontaneamente, senza che avessero il bisogno di metterlo per attirare l'attenzione sui loro splendidi occhi e sul diametro della loro pupilla. 
In realtà la seduzione ha una fase forzata e una naturale. Molto molto raramente la prima è eliminabile, ma quasi sempre è eliminabile dai ricordi, una volta superata.

Succede quindi che le donne raccontino esclusivamente del loro stato una volta raggiunta la fase naturale, o meglio, l'intimità. Citando Eric Berne, l'intimità è la "franca, immediata espressione di sé, senza elementi lusorii, della persona consapevole, liberazione del Bambino eideticamente percettivo, incorrotto, ingenuo, capace di essere presente nel luogo e nel tempo".
Quello che le nostre meravigliose creature intendono con l'espressione quotidiana "essere se stessi", è esattamente il virgolettato dello psicologo americano.

Insomma, per arrivare all'antitesi del "basta essere se stessi" senza tanti giri di parole, è evidente che nessun rapporto umano tra sconosciuti può cominciare con l'intimità (=essere se stessi). Qualcuno rimedierebbe un ceffone, reale o metaforico. In fondo le società sono state create proprio per questo (evitare l'intimità e i ceffoni).

C'è da dire però che "la percezione eidetica suscita affetto e che la franchezza sollecita sentimenti positivi, cosicché c'è addirittura una sorta di 'intimità unilaterale' – fenomeno ben noto, anche se non con questo nome, ai seduttori di professione, capaci di conquistare gli altri conservando il distacco" (isdem).

Ave al divano

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; / Anche di notte il mio cuore mi istruisce – Salmo 15

Thou hast nor youth nor age, / But, as it were, an after-dinner’s sleep, / Dreaming on both – W. Shakespeare

Mi compiaccio di avere cominciato il post con due citazioni, come avrei fatto nei fasti dei tempi andati. La mia passione per il dormire è atavica. Mediamente nove ore, altrimenti il giorno dopo sono nervoso e granché inconcludente. Ma fosse solo questo! La verità è che le migliori idee della mia vita mi sono venute mentre dormivo. Però, non durante il dormire di notte a letto. Che indubbiamente è sempre molto buono, ma non è il massimo.
Il massimo è l’abbiocco sul divano, dopopranzo. In quello stato di dormiveglia sembra attivarsi al massimo il mio maestro interiore e il mio lato creativo. Anche di notte il mio cuore mi istruisce, come dice il salmista. Anche quando mi abbiocco dopopranzo.

In The Mentalist, il protagonista Patrick Jane passa ogni momento libero disteso sul divano che ha fatto posizionare in un angolo dell’ufficio. Coincidenze?
Sembra di no. Il mentalist sa bene il fatto suo, anche riguardo al divano.

Salvador Dalì usava distendersi sul divano con un braccio penzolante che teneva un cucchiaino sul bordo di un bicchiere. Quando si appisolava il cucchiaino, cadendo nel bicchiere, lo risvegliava. In questo modo sfruttava al massimo la dormiveglia, senza che le idee che la sua mente elaborava andassero cancellate dal sonno.
Che poi non si chiama dormiveglia, bensì stato ipnagogico. In questo stato le onde celebrali scendono al livello theta. Si hanno in genere sogni brevissimi e molto vividi. Eccetera eccetera.

Insomma… Divano divano, divampante fulgore… Salga il coro. Ave al divano.

Leva militare

Più di qualche anno è passato dall'abolizione della leva militare, accolta con grande felicità da chi l'avrebbe scampata (me incluso), dai più con apatia generale data dall'assuefazione a veder cadere uno per uno i pezzi di quello che era un "vecchio mondo", secondo l'assunzione presunta ma mai giustificata che così dovessero andare le cose. Immagino che ben sparuto sia stato il gruppo di chi sollevava qualche dubbio (un'esercizio cartesiano che la filosofia imperante vuole ben applicare al "vecchio" ma mai al nuovo che avanza, al sol dell'avvenir) sull'effettivo bene dell'azione.

Di sicuro però, dello sparuto gruppo avrebbero fatto parte colui che tempra "lo scettro a' regnatori", Machiavelli, la maggior parte degli strateghi della Grecia classica (Temistocle, lo stesso ultracelebrato Leonida) fino ad Alessandro Magno. La lancia greca non avrebbe sconfitto la turba dei persiani a Maratona se non fossero stati privati cittadini che lottavano per difendere la propria libertà, così come ciò non sarebbe accaduto a Isso, dove più di centomila persiani scapparono senza combattere perché appunto sudditi, e non cittadini.

Se mai l'Europa dovesse trovarsi una guerra ai propri confini, e l'ipotesi è remota ma non remotissima, si troverebbe in seria difficoltà, come ha già dimostrato quando chiamate dagli americani, tanto che oggi il suo potere di persuasione diplomatica è tendente a zero. Come insegnavano i latini, si vis pacem para bellum. Dicevo che l'ipotesi è remota ma non remotissima per due questioni fondamentali: 1. La questione energetica alle porte. L'Europa dovrà presto rendersi indipendente energeticamente, da petrolio e gas naturale. La scarsità di queste risorse sommata alla loro instabilità geopolitica potrebbe creare un focolaio non indifferente. 2. Il debito pubblico. La bilancia commerciale di tutto l'occidente è in passivo fin dagli anni '90 (a questo è legato l'impoverimento della classe media), il debito pubblico non è mai stato così alto e i keynesiani non demordono; in più si aggiungono iniziative totalmente stupide come Kyoto, giusto per creare altro debito. Chi possiede la maggior parte del debito pubblico americano? La Cina. E se gli USA non potranno pagare, oppure la Cina cercherà di assoggettarli e loro non ci staranno, la sola soluzione è la guerra.

Ammettiamo che i nostri militari volontari siano comunque valorosi e volenterosi di lottare per la propria libertà. Il problema è però il "fronte interno". Quello che ha determinato la sconfitta degli americani in Vietnam. La realtà dell'esercito, con sempre meno ragazzi (e quindi famiglie) che ne hanno fatto esperienza, diventerà sempre più lontana, quindi apparirà sempre meno giustificabile. Ad un certo punto la sconfitta sembrerà l'opzioni preferibile, come ad un malato a cui è ormai diventata familiare la sua malattia. Inoltre se mai ci fosse bisogno di un "surge", avremmo solo un mucchio di ragazzi che non ha mai preso in mano un fucile.

Terzo punto, gli effetti della leva militare a livello personale. Perdere un anno di vita non è bene per nessuno, e infatti questo andrebbe tagliato dalla scuola (che invece ne occupa decisamente troppi). Sappiamo poi quante persone abbiano fatto carte false pur di evitare la leva. E' per lo più a causa di un atteggiamento infantile e totalmente irrazionale. Come un bambino che non si vuol vaccinare perché ha paura dell'ago. Questi razionalizzano dicendo di essere contro la guerra e le armi. Ma la leva militare non ti fa uccidere nessuno, e comunque l'inserimento di persone non-violente nell'esercito dovrebbe essere solo un bene. Mitiga l'ambiente.

Temo che l'abolizione della leva assieme alla crisi della pedagogia formi giovani sempre più instabili emotivamente, con conseguente aumento dei casi borderline. Questo è male per loro, per le donne che li sposeranno e per i loro figli, quando divorzieranno o finanche uccideranno la moglie perché lei vuole lasciarli. Spero di avere torto su tutto, eppure non posso mandarlo giù come fosse un bicchiere d'acqua fresca.

Guidelines

Aggiornamento delle linee guida di questo blog. Dato che è scientificamente provato che la multimedialità, nonché la presenza di link, riducono la concentrazione, danneggiano l'apprendimento di quello che si sta leggendo (e quindi, in definitiva, il piacere), questo blog sarà come è sempre stato – testo, e solo testo – ma ancora più radicalmente e con più convinzione. Se c'è qualcosa che non si conosce, si può cercare su Google dopo aver finito di leggere. E' molto meglio così, trust me. Per tutto questo devo ringraziare, ancora una volta, Nicholas Carr.

Disumanità

A lungo ho osservato con stupore l’evidente assurdità dei giorni nostri. Tra le tante, mi stupivo di come persone assolutamente prive di verità nella loro vita, impegnate a difendere aborto, divorzio, contraccezione, edonismo e utilitarismo su larga scala, insieme ad altre impregnate della peggiore xenofobia, potevano trovarsi d’accordo nel provare amore irrazionale verso gli animali.
Chiaro, il diavolo deve passare per puro (altrimenti come agirebbe su questo mondo, qualora tutti potessimo dire “eccolo, è là?”), per cui si sceglie degli ambiti, evidentemente marginali, in cui essere puro; indi li eleva a grande importanza onde l’umanità ne sia distratta. Chiusa la parentesi metafisica.

Negli ultimi giorni hanno fatto grande scalpore rimbalzando nel web due video. Nel primo una vecchietta cestinava un gatto domestico. Nel secondo una ragazza si divertiva a scagliare in un fiume cuccioli di cane. I commenti su Facebook si sprecano. Cito: “La uccido con soddisfazione personale!”, “che gente di merda che c’è a sto mondo!”, “avrei preferito vedere lo stesso video a parti invertite e farmi una grassa risata!”, “Pena di morte per chi maltratti gli animali”. Sono azioni indegne, eppure non sono più gravi che manipolare un embrione. Eppure, mentre il coro in difesa dei nostri migliori amici è unanime e dai toni forti, quello in difesa degli embrioni è sparuto e sommesso.

Qual’è la ragione di tanto amore e di così tanta violenza? Come mai agli animali è attribuita un’umanità tale, che alcuni giustificano la pena di morte in loro difesa? A lungo ho cercato una risposta senza trovarla.

Come persona non odio nè amo gli animali. Li considero parte del nostro ambiente, ottimo strumento, godevole compagnia, piacevole pasto. Ho trovato l’approccio più sensato e rispettoso alla questione animale quello di Roger Scruton (Gli animali hanno diritti?, 2008). Non mi dilungherò molto sulle sue argomentazioni, piuttosto sintetizzo di risultati: gli animali non hanno diritti, siamo noi ad avere dei doveri verso di loro. Uno dei modi migliori per amarli è cacciarli (rispettando la riproduzione) e mangiarli, oppure allevarli (con la massima cura) e mangiarli.

Ma tornando alla mia domanda: come mai agli animali è attribuita una tale umanità? Tutto mi è stato all’improvviso chiaro leggendo l’ultimo libro di Nicholas Carr. Quel tipo tosto racconta di ELIZA, un semplicissimo programma che simulava uno psicoterapeuta rogeriano. Fu scritto da Joseph Weizenbaum del MIT nel 1966. Per ovviare al fatto che un programma che debba sostenere una conversazione con un essere umano deve avere una seppur minima conoscenza del mondo (e quindi un database), Weizenbaum scelse la psicoterapia: il programma risponde con domande o affermazioni “open loop” che non aggiungono nessuna informazione al contesto, ottenute solo rielaborando la frase precedentemente immessa dall’utente. Una tipica conversazione può suonare così:

“Oggi sono stanco”
“Come mai sei stanco?”
“Ho avuto noie al lavoro?”
“Ah al lavoro…”
“Sì, quel progetto della torretta portautensile mi sta dando più noie del previsto”
“Dimmi di più sulla torretta portautensile”

E così all’infinito. La cosa che sconvolse Weizenbaum è il coinvolgimento con cui le persone si trovavano a conversare con ELIZA. Stentavano a credere che non ci fosse una persona a rispondere ai loro messaggi. O meglio, lo sapevano, ma per loro era difficile da comprendere. Addirittura la segretaria di Weizenbaum, a cui aveva dato il programma da sperimentare, si rifiutò di mostrargli la conversazione perché aveva raggiunto argomenti troppo intimi.
Da ELIZA agli animali il passo è breve. Se è possibile proiettare sentimenti umani di empatia, amore, fiducia verso poche righe di codice per il solo fatto che si esprimano nel tuo linguaggio, sarà molto più facile farlo verso gli scodinzolanti migliori amici dell’uomo. Eppure per loro non esiste nulla di ciò.

 

Socialismo/1

I socialisti pensano che le differenze nella vita in fatto di ricchezza, successo, abilità in svariati campi, inclusa quella con le donne, siano tutte dovute in in primo luogo alla pura fortuna. In seconda istanza ad altri fattori minori come l'aver barato in qualche modo. Per questo invocano sempre e ovunque lo stato, il cui unico scopo è quello di fare giustizia, ovvero redistribuire equamente la fortuna, iniqua per sua natura. Per questo poi giocano alle lotterie, scommettono e si riversano nel gioco d'azzardo, perché vedono la vita controllata dalla fortuna. Questa non è la mentalità americana, l'unico stato dove è considerato vergognoso essere socialisti. Il sogno americano è che ognuno, privatamente e col sudore della propria fronte, possa raggiungere qualsiasi obbiettivo che si prefigge nella sua vita. Perciò lo stato deve essere leggero, e ha il solo compito di favorire l'iniziativa privata.