Il comandamento ignorato

A me hanno insegnato che i comandamenti sono dieci. Universalmente, quelli consegnati da YHWH a Mosè sul monte Sinai, sono “i dieci comandamenti”. In realtà le cose non stanno proprio così.
In entrambi passi biblici dove i comandamenti sono riportati (Esodo 20 e Deuteronomio 5), c’è un undicesimo comandamento, elencato tra il primo e il secondo:

Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.

Le domande a riguardo sono importanti e sono due: cosa significa il comandamento e perché è stato ignorato. A una lettura letterale implicherebbe il divieto di rappresentare sotto forma pittorica o scuoltorea qualsiasi entità soprannaturale, benevola o maligna, ma anche forme terrestri come animali e oggetti, nonché realtà del subconscio umano (le acqua sotto la terra).

Per un’analisi corretta c’è da tenere presente il contesto della Torah nella rivelazione divina. Gli gnostici ritenevano che quel dio a tratti crudele e vendicativo dell’AT non potesse essere lo stesso che Gesù chiama Padre; ergo doveva essere un demiurgo, qualcuno che si arrogava di un qualche potere creativo e che si sostituiva al vero dio, conferendo agli israeliti una rivelazione fasulla, basata sulle leggi del karma. Gli gnostici avevano torto, ma anche ragione. Che YHWH fosse il Padre non c’è dubbio, infatti lo stesso Rabbì afferma:

«Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento.»   Matteo 5:17

Ma è anche vero che la legge mosaica non è tutto, è da completare. Gli israeliti non erano pronti per ricevere una legge superiore, come anche del resto duemila anni fa il mondo non era pronto per ricevere quella rivelazione che si è conservata per molti canuti secoli nelle cave di Qumran e Nag Hammadi. Quindi YHWH ha consegnato loro il decalogo per alleggerire il karma alle anime degli israeliti, in modo che esse potessero pian piano, nel ciclo delle reincarnazioni, liberarsi dalla tirannia dei signori che il karma lo gestiscono. In ultima analisi, Gesù è l’anima che è libera dalla schiavitù del karma e perciò viola costantemente la legge mosaica, ciononostante muore sulla croce facendosi liberamente carico del karma altrui. I farisei sono invece coloro che non ancora fermi infangati nella palude della psiche, che non capiscono che per progredire spiritualmente bisogna abbandonare la morale e l’etica comunemente intese.

“Non ti farai idolo né immagine alcuna” serve non proprio per alleggerire il karma, ma invece per liberarsi dalle forme-pensiero o egregore (di cui si era già parlato qui). Tutti i pensieri umani che si riferiscono a una medesima cosa contribuiscono a nutrire di energia la relativa forma-pensiero esistente nel piano astrale. Simboli di partiti politici, nazioni, squadre di calcio sono come catalizzatori di energie psichiche che vanno ad alimentare le egregore, le quali come una banale tenia solium agiranno sulla realtà fisica in modo da aumentare le proprie possibilità di sopravvivenza, cioè cercando di catalizzare quanti più altri pensieri e emozioni possibili. Altre egregore potenti sono quelle delle istituzioni, delle aziende, delle idee poltiche, delle religioni; come c’è un’idea di tutto (dice Socrate nel Parmenide) così di tutto c’è una forma-pensiero. Episodi paranormali, dischi volanti, madonne che piangono, sono tutti eventi alla cui realizzazione contribuisce, se non causa interamente, una forma-pensiero. Di fronte a una madonna che piange arriverà sempre un stuolo di vecchiette pronte a recitare rosari, offrendo così un olocausto psichico gradito alle entità che l’hanno provocato.

Bisogna ora rispondere al secondo quesito: perché è stato ignorato. Penso che la risposta giusta sia quella più semplice, cioè che le forme-pensiero sono la fonte energetica principale per coloro che governano questo mondo, e perciò siano tra gli interessi fondamentali da salvaguardare. Non oso immaginare che banchetto prelibato costituiscano migliaia di persone riunione per un concerto, una partita di calcio, o una messa. O ancora peggio, milioni di persone davanti allo schermo di una televisione a guardare i resoconti tragici del terremoto in Giappone. Ma questo regno non durerà ancora per molto.

E per le grand final, le forme-pensiero spiegate alla maniera del Maestro, cioè en parabolè:

Auguri su Facebook

In questo periodo di sbornia da festività, da alcol consumato nelle festività, da furiosa circolazioni di auguri per il Sol Invictus e per quell’altra celebrazione idiota della nostra prigione temporale, per cui tutti brindano al trasferimento alla cella numero 2012, ho preso anch’io una sbornia. Quando ho letto le seguenti parole sul blog di Nicholas Carr:

I programmatori del web commerciale hanno sempre visto come proprio obiettivo l’annullamento di distanza e ritardo nelle transazioni; e quest’obiettivo ha, non sorprendentemente, plasmato i social network. Ma, se spinta troppo in là, la minimizzazione del costo di transazione nelle relazioni personali finisce con l’avere l’effetto di ridurre queste relazioni a mere transazioni. L’intimità senza distanza non è intimità, e la condivisione  senza ritardo non è condivisione. Le qualità dell’affettuosità diventano, alla fine, forme di commercio. “La linea retta,” continua Adorno, come se stesse spiegando, sessant’anni prima, lo schema sociale di Facebook, “è ora considerata come la distanza più breve tra due persone, come se fossero due punti.”

Gli auguri tramite Facebook o sms sono l’esempio più lampante, specie se negli splendidi “messaggi di massa”. I progressisti della condivisione su internet pensavano che quando la forma sarebbe stata eliminata da tutte le transazioni (quando non ci si sarebbe più alzati il cappello incontrando qualcuno, quando non si avrebbe più mandato email firmandosi) allora l’uomo avrebbe potuto godere di una stato perenne di intimità senza passare dai giochi, allora egli avrebbe avuto delle relazioni sempre soddisfacenti. Per quanto l’esplosione dei social network abbia evidenziato la voglia dell’essere umano di gingillarsi con questa possibilità, la strada del declino è già segnata perché le relazioni che ne sono derivate, alla fine, non soddisfano. Il fallimento di Google+ deve far pensare a questo riguardo: è il segno che il gran premio della montagna è ormai stato scavalcato.

Eric Berne era sicuramente convinto che i giochi andassero combattutti quando essi ostacolano l’intimità, ma dalla consapevolezza del singolo individuo, non per decreto di una qualche istutizione. Il filtro dei giochi è ancora necessario alla vita dell’umanità in blocco. “L’estraniazione si manifesta esattamente nell’eliminazione della distanza tra le persone”, conclude Thomas Adorno.

 

Eravate paralizzati

Dal Corriere:

«Non occorrevano professori, ci avete chiamato voi». Il premier Mario Monti, interviene alla Camera davanti alle commissioni Bilancio e Finanze. «È verissimo che per fare questa manovra non occorrevano professori. Ma perché questo lavoro non l’avete fatto voi? Ci avete chiamato voi, perché la verità è che eravate paralizzati» afferma Monti nella replica alle Commissioni nella tarda serata di martedì con un pizzico dei ironia e di polemica. E sottolinea come l’Italia abbia deciso di perdere «deliberatamente» quote di sovranità. Poi aggiunge: «Non ho mai voluto un governo dei tecnici. Sono altri che l’hanno voluto. Io non sono nè corresponsabile, nè grande fautore. Io non mi sono candidato per trovarmi nella posizione in cui mi trovo». «Spero torni presto il tempo in cui non avrete più bisogno di professori e tecnici, in cui voi eletti sappiate guardare abbastanza lontano per fare le cose che servono». Dopo la frustata conclude: «A noi è toccato di parlare il linguaggio della verità e vi assicuro che questo è quello che faremo fino all’ultimo giorno».

Non parlo spesso di politica. Anzi, quasi mai. Penso che sia un’attività non solo inutile, ma persino dannosa per lo spirito. Non vedo perché dovrei volgere i miei pensieri a quella genia bastarda di ipocriti. Eppure oggi c’è qualcosa di rimarchevole. La lucidità con cui Monti ha delineato il problema è impressionante, la sua sincerità, vista l’estrazione, è meravigliosa. Il problema sono loro, i politici. Di oggi, di ieri, e di domani. E il problema non avrà soluzione, finché ci saranno i partiti, finché ci saranno i politici di professione, finché ci sarà la “democrazia”.

Eppure, in realtà, qual’è il problema? Che influenza hanno Monti, Berlusconi o chi per loro sulla mia vita? Nessuna. Ci mettono in testa che la abbiano, ma non è così. La manovra costerà sui 500 euro a famiglia. La mia vita cambia davvero? Quest’autunno mi sono comprato un giaccone nuovo. Farne a meno avrebbe cambiato la mia vita? No.

I politici vanno e vengono, le borse crollano e rimbalzano. Le monete si svalutano e si rivalutano, le tasse aumentano o sgravano. Tutto questo cambia davvero la tua vita? Domani sarà per te un giorno diverso se i risultati sulla produzione industriale sono positivi o negativi? Fatti queste domande. E lascia i problemi non tuoi agli impacchettatori professionisti di problemi, lascia la politica a chi è senz’anima per non perdere la tua.

Paura della creatività

PsyBlog, un eccezionale blog inglese di psicologia, cita oggi una serie di studi riguardanti la creatività. Più o meno da quando Goleman ha scritto Intelligenza Emotiva (parecchi anni fa), è di moda nel mondo accademico, nell’economia e nell’industria dire che cioè che è necessario oggi che il sapere è così diffuso e facilmente reperibile, è la creatività. Ma se si va a indagare la realtà dei fatti, si scopre che più delle nuove idee è premiato il conformismo. Così è anche a scuola, dove i bambini creativi non sono molto tollerati, vista la loro tendenza a non seguire le regole.

Ovviamente c’è una sconnessione tra quello che le persone pensano a livello conscio sulla creatività e le loro convinzioni inconscie a riguardo, come ha dimostrato un recente studio. Più o meno così è col razzismo: è difficile che  qualcuno su questo pianeta si dichiari razzista, ma se questo asserto viene messo alla prova, si evidenziano dei comportamenti razzisti in una non nulla percentuale di persone.

Tutto ciò sembra sia legato al fatto che una nuova idea porta inevitabilmente con sé una dose di incertezza riguardo il futuro. E l’incertezza è un sentimento che gli essere umani tendono a evitare. Così, per evitare di sentirci male, buttiamo con lo sciacquone le nuove idee e continuamo a fare quello che abbiamo sempre fatto. Inutile dire che è un ragionamento fallace, perché da un momento all’altro possono crollare anche i riferimenti più solidi di una vita. E in quel momento, cosa farai? Verrai risucchiato con loro? L’unica via è porre la propria certezza in ciò che non crollerà mai, in ciò che ancora non esiste.

 

Un tema ricorrente di questo blog è quello dell’educazione. Si è sostenuto diverse volte che le più buone intenzioni nei confronti dei bambini sono uno dei mali più grandi e subdoli di sotto il sole. Ancora peggio perché l’assoluzione sociale e psicologica, date le “buone intenzioni”, è automatica. Aggiungo oggi un passo illuminante tratto da un libro che sto leggendo, Dialoghi con l’angelo:

L. Perché l’uomo vuole avere tutto, e tutto già pronto?
– Infanzia viziata.
Giocattoli pronti – sapere pronto –
cibo pronto – esperienze pronte.
Queste riceve il bambino, e ne prova disgusto.
La sua sete di conoscenza, la sua gioia di creare –
tutto ciò che forma veramente l’essere umano, inaridisce.
La gioia di sperimentare?
I tanti, buoni conisgli la uccidono.
Tutto questo è vigliaccheria e mancanza di fede.
QUANDO IL BAMBINO DIVIENE ADULTO,
TUTTO IN LUI È GIA’ MORTO.

Ayn Rand e i Griffin

Riguardo Ayn Rand e la sua opera più importante, La rivolta di Atlante (1957):

Un tema ricorrente lungo tutto il libro è che la società moderna sta mietendo un raccolto fallimentare di postmodernismo e collettivismo cultural-relativista. La cultura è decaduta così tanto che le persone si sono ridotte agli istinti più bassi, e una paura esistenziale (data dal non avere valori oggettivi su cui formare il proprio codice morale) le fare ritirare all’interno di organizzazione collettiviste e attaccare chiunque aneli alla grandezza inviduale. In un clima del genere le persone glorificano la mediocrità e il fallimento, rovesciando i valori umani di duro lavoro, abilità, e creazione di ricchezza.

Ora nominiamo il cartone animato più popolare tra i teenager (e anche fra i vent’enni). Sono i Griffin. La storia di un obeso e insulso uomo di mezza età, incapace di compiere la benché minima azione sensata. Non nego, anche a me fa ridere parecchio. Ma non sono risate di simpatia. Peter Griffin non mi sta simpatico. A molti, invece, penso sia simpatico. Lo assumono inconsciamente come modello, perché vedono in lui la giustificazione della propria mediocrità, un fratellone con cui condividere fallimenti, esaltare la propria pigrizia e golosità. Lui è la fonte morale da cui scaturiscono gli imperativi che tracciano la strada per eccellere (finalmente eccellere!) nel campo del ritardo mentale.

Alla fine, nel cartone animato, dopo che Peter Griffin ha bruciato la casa o ucciso il suo migliore amico, arriva il Deus ex machina del disegnatore a ripristinare tutto com’era prima non appena inizia la puntata successiva. Nella realtà, lo spettatore dei Griffin invoca il welfare, la scuola, lo stato, qualcun altro purché non sia lui, a porre rimedio alla sua miseria.

Fortuna e forme-pensiero

Nel quarto episodio della serie di speciali di quest’autunno, Derren Brown realizza un esperimento sociale sul significato della fortuna. Fa in modo che in una cittadina della campagna inglese sia sparsa la voce che la statua di cane del parco cittadino sia, in qualche modo, fortunata. Si propone di osservare la reazione degli abitanti del luogo e gli eventuali effetti che la statua avrà sulla loro vita.

Nell’idea di Derren, la differenza tra una persona fortunata e una sfortunata è che la prima, dato il proprio sistema di convinzioni, si metterà più in gioco nella propria vita e sarà portata a cogliere più occasioni, alcune delle quali le porteranno dei vantaggi. Colui che si ritiene sfortunato invece non coglierà nessuna occasione, dato che a lui non capita mai qualcosa di buono. E così nulla di buono continuerà a capitargli mai. Ciò viene dimostrato appunto nel corso nell’episodio, quando a Wayne il macellaio, che si ritiene arcisfigato, egli presenta una serie di opportunità che, se colte, gli porteranno qualcosa di buono. Alcune piuttosto ovvie, come quando pone sul suo cammino una banconota da 50 quids. Ma lui clamorosamente manca di vederla, come ha fatto per tutte le opportunità precedenti.

Nell’intento di Derren però non c’è solo la dimostrazione sociologica della sua tesi, ma anche una verifica degli effetti del “cane fortunato” sulla vita delle persone. La voce nella città dopo qualche settimana imperversa: gli abitanti si scambiano storie di eventi fortunati successi dopo aver accarezzato l’impassibile e granitico cane del parco.

Passati tre mesi dalla prima insinuazione, Derren si presenta in città con l’intento di provare se il cane sia davvero fortunato: il vincitore di un’asta avrà la possibilità di puntare la cifra offerta su un singolo lancio di dado, con l’eventuale vincita sei volta la posta. Nello svolgersi della mimesis, si scopre che il vincitore dell’asta è proprio il macellaio Wayne, che in qualche modo sembra voler cogliere l’occasione di espiare la sua intera vita di occasioni mancate prendendo il primo, clamoroso, rischio possibile: è pronto a giocarsi tutti i suoi risparmi. Le parole finali di Derren, prima che il fatidico lancio sia compiuto, sono sibilline: la statua, essendo tutta un’invenzione, non dovrebbe portare alcuna fortuna – dice -, d’altronde è possibile che l’idea di essere fortunati possa modificare inconsciamente i comportamenti, anche nel caso del lancio di un dado. È comunque più interessante quando questa serie di fenomeni riguarda l’uomo stesso, piuttosto che qualche entità soprannaturale, afferma.

La scena finale è di quelle trionfali, allorché il numero prescelto compare sulla faccia superiore del dado tratto.

Certo, 1/6 non è certo una probabilità infima, però è significativo che sia uscita, in un’occasione così eclatante e ricca delle aspettative di tutto il pubblico. Pura casualità? Tiro pilotato inconsciamente? Ai miei occhi, le conclusioni da trarre sono di natura diversa. Tutto si spiega in maniera molto semplice utilizzando un concetto proveniente dal mondo dell’esoterismo: quello di forma-pensiero, o egregora.

La forma-pensiero è come un’ameba energetica che vive in un piano eterico (ovvero non percepibile con i nostri sensi, ma non necessariamente al di fuori del nostro universo) e si nutre e prende vita grazie ai pensieri umani. Queste forme, una volta raggiunta una massa critica, possono acquisire vita propria (ma assolutamente non una coscienza propria) e cominciare ad operare intervenendo sulla nostra realtà, con l’unico scopo di perpetuare la propria esistenza. Proprio come farebbe una spugna o un fungo. Esistono forme-pensiero di tutto: del calcio, della Chiesa, degli alieni, del telegiornale di Canale 5. Tutte queste, abbiamo detto, vogliono solo trovare nuovo nutrimento (captare nuovi pensieri): la forma-pensiero degli alieni, quindi, farà in modo di prendere consistenza fisica sotto forma di nuovi ufo e nuovi rapimenti, in modo che più gente pensi a lei e scarichi le proprie emozioni su di lei.

Per formare una forma-pensiero servono le energie psichiche di una moltitudine di persone: ecco quello che è successo col cane fortunato di Todmorden. Arrivato al momento della prova, la forma-pensiero aveva abbastanza energia per controllare il lancio del dado, garantendo quindi la sua sopravvivenza nei pensieri delle persone.

Quella che chiama in causa le forme-pensiero oltre a essere una soluzione esaustiva, a pensarci bene rispetta anche  le condizioni poste dallo stesso Derren Brown. Non chiama in causa qualche entità esterna, ma l’uomo stesso. Ricade perfettamente nella categoria di “comportamenti modificati dall’inconscio”, solo che l’inconscio non è esclusivamente personale ma piuttosto collettivo, e ciò non è limitato ai comportamenti, ma anche agli stessi eventi temporali della nostra realtà.

Apprendimento dinamico

Robert Dilts, uno tra i più classici degli autori di PNL, ha affrontato il tema dell’apprendimento alla luce degli strumenti della Programmazione Neurolinguistica. Ne sono usciti una serie di conferenze negli anni ’90 e un libro. Ho comprato il libro. Si chiama Apprendimento Dinamico. Dal titolo può sembrare una di quelle cose fumoso. Invece no.

L’apprendimento è detto dinamico nel senso che il suo obiettivo è in realtà lo sviluppo della capacità di imparare a imparare. Ciò significa comprendere i propri processi mentali di apprendimento e quelli altrui, formarsene una metacognizione (parola che tanto piace agli autori) col fine riuscire a migliorarli. E’ ovvio (e dovrebbe sconcertare che sia così ovvio) che nelle scuole non si insegna a imparare, non si insegna a studiare, non si insegna ad avere cognizione delle proprie capacità. Qualche volta forse un insegnante dà dei consigli. Il che è già qualcosa, ma è come dare al bambino affamato un pesce, e non insegnarli a pescare. Altre volte invece l’insegnante spiega il proprio metodo di apprendimento (“facciamo una lezione su come si studia”), che è un sistema che di sicuro funziona per lui, ma non è detto che funzioni anche per le altre persone o che non possa esistere qualcosa di meglio.

Perché succede tutto questo? Perché non si insegna a imparare? Semplicemente perché l’insegnante ha fatto molta fatica a imparare quello che ha imparato, e vuole che gli studenti facciano altrettanta fatica. Non ha nessun vantaggio psicologico a rendere le cose semplici. Ma a riguardo, le stesse parole di Robert Dilts e Todd Epstein sono di sicuro più efficaci delle mie:

“La stessa cosa può succedere agli insegnanti. Si creano la convinzione che, in quanto tali, devono occupare la parte anteriore dell’aula, possono agire solo in un modo e avere soltanto certi tipi di interazioni. Credono che, se fanno qualcosa che esula dai comportamenti prescritti, non sono più “insegnanti”. Se ci vengono date più alternative di interazione, ma quelle stessse alternative sono limitate dalle nostre credenze su ciò che un insegnate è consentito fare, sono proprio quelle credenze a legarci le mani. Non è vero che non abbiamo alternative con gli studenti, è che le nostre convinzioni ci dicono: ‘Quella porta non si apre. Non ti è permesso varcare quella porta, perché un insegnante non può agire in quel modo’.”

“Un libro intitolato The One Minute Manager costituisce un ottimo esempio per illustrare questa posizione: vi si parla di un manager che va a parlare con l’insegnante del figlio, che ha qualche problema scolastico. Durante il colloquio, il padre mette in evidenza che, in quanto manager, ha scoperto quanto sia importante per una ditta che tutti i dipendenti riescano a portare a termine con successo i propri compiti; racconta anche di avere scoperto che, fornendo ai propri collaboratori obiettivi e strumenti di verifica chiari, si ottengono migliori risultati. Suggerisce poi all’insegnante di presentare ai bambini le domande dell’esame finale all’inizio dell’anno scolastico, di modo che possano sapere cosa sarà importante, per quale scopo studiare e come valutare i propri progressi.

L’insegnante rimane disorientato e sbalordito e risponde: “Non posso fare questo. Così otterrebbero tutti il massimo dei voti!”. Una risposta del genere sottintende che il problema sollevato dal suggerimento del manager è proprio questo: tutti andrebbero bene a scuola e la scuola smetterebbe di funzionare come un filtro. […] Anziché sulla capacità di pensare in modo creativo o produttivo, si viene esaminati in base al grado di accettazione e comprensione dei valori e dei presupposti del sistema.”

Inoltre una cosa fondamentale su cui la maggior parte delle insegnanti non è stata istruita (e non ha l’iniziata per istruirsene) è la stratificazione dei livelli di apprendimento. Partendo dal più terreno e risalendo al più etereo, possiamo elencare: ambiente, comportamento, capacità, valori-motivazione, identità. Gli insegnanti (a parte rare eccezioni) non riescono a identificare i problemi che vanno al di là del comportamento. Correggendo un compito indicano all’alunno cosa ha fatto bene e cosa ha sbagliato, ma non gli spiegano mai la cosa più importante: come modificare i propri processi mentali (le capacità) per portare a termine in maniera effice il compito. Forse qualche insegnante ha fatto un fumoso corso dove si insegna a motivare in qualche modo, più o meno efficace, gli studenti; ma dalla mia esperienza più o meno tutti falliscono miseramente nel far superare i problemi di valori (“non vedo perché dovrei imparare x”). Figuriamoci poi quelli di identità (“Non sono bravo in x”). Ancora di più perché a volte i problemi di identità riguardano proprio l’insegnante stesso. Io stesso riconosco di avere avuto, più volte nella mia vita, difficoltà ad imparare qualcosa perché odiavo l’insegnante, e quindi se fossi diventano bravo in quella materia mi sarei reso simile a lui.

Una cosa che poi nel nostro mondo e quindi anche nel sistema scolastico è decisamente sopravvalutata è l’impegno (o la volontà) rispetto alla strategia (quindi le capacità):

“Spesso il feedback che forniamo agli studenti consiste nel dir loro dove sbagliano, quello che non ci piace o che non dovrebbero fare. Anziché procurare loro una strategia più efficace, diciamo agli allievi: ‘Non ti stai impegnando abbastanza’. ”

E questo è il fallimento dell’istruzione. E’ il fallimento del processo di prendere quello che di buono è stato inventato e renderlo alla portata di tutti. Nelle scuole viene coltivato il mito dell’intelligenza, viene detto che se c’è qualcuno che è naturalemente più bravo rispetto agli altri non c’è nulla da fare, se non compensare le differenze con una maggiore profusione d’impegno. Strategia che, come è sotto gli occhi di tutti, è destinata al fallimento. Viene tenuto nascosto il piccolo grande segreto delle strategie, il fatto che queste si possano modellare da chi è più bravo e riprodurre.

Ci sono anche le prove sperimentali. Un paio di studi controllati hanno dimostrato che la tecnica di spelling (il case study più ecclatante portato nel libro) desunta dal modellamento e dalla PNL ha portato un miglioramento nei test del 25% a breve termine e del 15% a lungo termine (si parla sempre di bambini). Inoltre, l’adozione di un sistema di apprendimento basato sulla PNL in una scuola elementare della Pajaro Valley con serie difficoltà (un’elevata percentuale di bambini ispanici), l’ha trasformata in due anni nella seconda miglior scuola del distretto. E la più brava insegnante di spelling era una bambina di 11 anni.

Occorre temere in modo particolare i consigli dei propri familiari. Loro, infatti, “vogliono il vostro bene con tutte le loro forze”. (A volte è terribile guardare come i genitori di buon cuore predeterminano categoricamente il fine dei loro figli fin dall’infanzia). Se andate al vostro fine per la vostra strada e poi subite una sconditta, non attendetevi nessuna pietà da loro. Urleranno: “Te l’avevamo detto! E tu non ci ascolti mai!”. In questi momenti la vostra posizione è assai debole. Siete molto abbattuti per l’insuccesso e i manipolatori che vi circondano, sfruttando questo momento di debolezza, cercheranno di mettervi le mani addosso. Per loro è comodo così. In questo modo essi trovano il sistema per autoaffermarsi e voi siete qui pronti per loro, rassegnati e ubbidienti.
Una persona che è capitata in una situazione difficile è sempre circondata da consiglieri e manipolatori. Tutti perseguono esclusivamente i loro fini: o crescere ai propri occhi, struendo il buono a nulla, o avere la possibilità di manipolarvi o di mettervi semplicemente al vostro posto. Qualsiasi loro parola, rinchiusa in una confezione di “sincera partecipazione”, tradotta suona così: “Ma dove vuoi andare? Credi di essere meglio di noi? Sta seduto buono qui con noi e sta calmo. Vivi come facciamo noi. Noi conosciamo la vita meglio di te”.

da Vadim Zeland, Reality Transufring: Il fruscio delle stelle del mattino

Sembra di leggere il grandissimo Eric Berne. Giusto per ricordare, ancora una volta, quanto sia banale il male.

Poirot, he has seen much evil in this world.

Sono diventato tormentato, oscuro. Quelli che hanno visto la realtà come l'ho vista io dovrebbero sentirsi liberati, dato che finalmente possono godere di una coscienza libera da autoinganni, dissonanze, paura di scoprire qualcosa che non coincida con la propria visione del mondo. E in effetti è una liberazione, ma aumenta anche l'insofferenza verso questa realtà. 
Ho sete di giustizia, ma questa giustizia (il Jihad) non ho il potere né il diritto di esercitarla io, ma solamente colui che tutto sa. A noi non resta che essere massimamente pazienti, e attendere.

Madame; the sky is blue, the sun is shining, and yet you forget that everywhere there is evil under the sun.