Harry Patch (In memory of)

"i am the only one that got through
the others died where ever they fell
it was an ambush
they came up from all sides
give your leaders each a gun and then let them fight it out themselves
i’ve seen devils coming up from the ground
i’ve seen hell upon this earth
the next will be chemical but they will never learn"

Recently the last remaining UK veteran of the 1st world war Harry Patch died at the age of 111. I had heard a very emotional interview with him a few years ago on the Today program on Radio4. The way he talked about war had a profound effect on me. It became the inspiration for a song that we happened to record a few weeks before his death. It was done live in an abbey. The strings were arranged by Jonny. I very much hope the song does justice to his memory as the last survivor.

It would be very easy for our generation to forget the true horror of war, without the likes of Harry to remind us.
I hope we do not forget.

As Harry himself said
"Irrespective of the uniforms we wore, we were all victims".

Il ricordo di Thom Yorke.

Oggi si è aperto il secondo anno della mia squadra di calcetto. Non so se sia più forte dell’anno scorso. Di certo io sono meno forte mentalmente, ma sarò più forte in campo. Quest’anno il campionato è più corto, non avrò più ogni responsabilità su di me. Giocherò più scarico, ma inizio con meno voglia. Sperando che la voglia mi venga durante il cammino. Intanto corro, chè la fatica è un’ascesi. Sperando di sentirmi bene.

Mentre facevo una coda educativa alla segrateria studenti nella piovosa mattinata di un Aprile, leggevo un passaggio indimenticabile di quell’uomo che, insieme a pochi, riesce a leggere l’approccio conservatore al mondo di oggi:
“Da sofisticate persone moderne abbiamo l’abitudine di considerare i nostri valori come se non ci appartenessero affatto, come se fossero i valori di un bizzarro estraneo che deve essere inserito nel contesto e al quale ci sentiamo fastidiosamente superiori. Abbiamo tutti una certa familiarità con i sentimenti di Prufrock – le aspirazioni e la visione della vita più profonde di quelle del resto della gente, e contemporaneamente, il timore di essere respinti e derisi – che, nel bel mezzo delle nostre più calde passioni, ci ricordano che forse sbagliamo sia nel presumere sia nell’osare.”
Ho alle spalle troppi mesi di pigrizia intellettuale. Sono coincisi, e non è un caso, con i mesi di inattività di questo blog. E’ quasi finita l’estate, e ho voglia di togliere la mia mente dalle tenebre nelle quali era stata immersa. A partire dal ragionare di nuovo per iscritto, e rimettere un po’ in sesto questo blog. Sperando che nel frattempo l’HTML sia cambiato poco.

Sono stato a vedere un settantacinquenne, un uomo del ’34, bevitore professionista, ebreo errante dalla nascita alla morte, suonare per due ore e mezza in una piazza san Marco sempre minacciata, ma alla fine graziata, dalle nubi che la sovrastavano. Mi dà molte speranze per il futuro e la vecchiaia, L. Cohen. Ha passato sei anni in un monastero Zen, dove prevalentemente beveva (cognac, whiskey, vino rosso) col maestro Seasaki Roshi, 94 anni. Sul palco era minuto, sempreverde e sempre in evoluzione nella voce, circondato da una squadra fidata costruita negli anni, e destinata a rimanere sempre uguale. Un silenzio irreale era calato quando dopo “Dominus vobiscum, God bless you”, aveva cominciato a recitare le ultime parole di benedizione per la sua folla in ebraico, dal libro dei Numeri.

Go Lance, go. Il sogno di vederti ancora in giallo è forte. Ancora più grande sarebbe la visione delle facce insù dei francesi, costretti ancora a guardarti sull’alto del podio. Mi devi spiegare come hai fatto, in tutti questi anni, a mantenere intatta la tua camaleontica squadra; e adesso, addirittura, tu, Bruynel, Leipheimer, correte addirittura per il governo Kazako.

Ricardo se ne va. Non che prima ci fossero dubbi. Mi piace pensare che Kakà verrà ricordato per quello che ha fatto al Milan, e che sia una geniale operazione di Silvio per riaverlo, fra due anni, a meno della metà. La verità è che gli errori li ha fatti la dirigenza: in questi anni non ha mai costruto la squadra intorno a lui come avrebbe dovuto, e come aveva detto. Ha incrinato i rapporti a gennaio, quando aveva fatto capire che l’avrebbe potuto vendere, per soldi. Non se lo aspettava. Forse un po’ di colpa ce l’ha anche l’ingegner Bosco, che, smentendo sempre le dichiarazioni del figlio, in questi anni si è seduto al tavolo con tutti. Al Manchester City non poteva andare, è troppo intelligente per non capire che l’etichetta del “one hundred million pound player” gli sarebbe stata troppo pesante. Va al Real, squadra che ha sempre ammirato.
Penso che Ricardo terrà ancora il Milan nel cuore.

C’è un post che cerco da tempo, ma ad ogni modo sembra non esistere. Così lo riscrivo. Quando RossoAlice era il massimo che uno potesse desiderare, e in studio c’erano Ricky Buscaglia e Federico Buffa, un bel giorno, dopo una prestazione magistrale di Cafu, Ricky domandò:"Ma da dove trova la forza, un giocatore di 37 anni, per continuare ad allenarsi e fare prestazioni del genere?". E Fede, magistrale, rispose:"Se mi concedi quattro lettere, io dico Fede".

Ho scoperto che Leonard Cohen sarà a Venezia il 3 Agosto, in Piazza san Marco. Forse c’era un motivo per non prendere e partire per Santiago, o forse no. Un giorno avevo trovato una foto di Leonard Cohen, scattata da un suo fan che l’aveva incontrato mentre visitava un museo. Era vestito con una camica a maniche corte a quadri, rimboccata nei pantaloni di tela; i capelli pettinati con la brillantina. Un pensionato come molti.