Il problema è la radio

Il problema è la radio

Questa radio che non smette 

E continua a dirci le stesse cose

Da tanti anni

Quanto tempo il mondo farà finta

Di non sentire le grida che arrivano da laggiù

Di notte

Di giorno

Because it never stops

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=Q6k4yd11re4]

 

E dopo, la Sua firma, il canto del gallo.

Ascoltare questa radio è il sogno della mia vita. Ma sia fatta la tua volontà, Padre, e mai la mia. Amen. Amen. Amen.

Skoteinós Herákleitos

Se dovessi scegliere il qualcuno che assomiglia di più al Vecchio, non avrei dubbi. Qohélet aveva tanti epiteti, ma questo vecchio ne ha solo uno. Egli è lo skoteinòs, l’oscuro. Dei frammenti che il tempo ha con pazienza conservato perché noi uomini del kali yuga li leggessimo, eccone qui la migliore selezione.  Potrebbero benanche essere dei koan, da ripetere dentro di sé durante una meditazione. Essi gettano luce sui mondi della creazione attingendo dalla philosophia perennis, quella che da sempre accompagna gli uomini di buona volontà, di tutte le epoche.

La natura umana non ha conoscenza, la natura divina sì. [78 Diels-Kranz] — Questo frammento spiega la superiorità dell’insegnamento divino rispetto a quello umano. Un’altra fonte disse:  “Le vere conoscenze non derivano da alcun insegnamento umano”.

Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo. [49a DK] — La nostra contemporanea natura, reale e illusoria. Siamo contemporaneamente nella mente di Dio e in maya.

Bisogna dunque seguire ciò è comune. Ma pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vive come se avesse un propria e particolare saggezza. [2 DK] — La mente mente. C’è una mente superiore comune a tutti che invece non mente.

La natura delle cose ama celarsi. [123 DK]

Come potrebbe uno nascondersi a ciò che non tramonta mai? [16 DK] – Una volta che uno ha conosciuto la verità, è impossibile tornare indietro

Morte è quanto vediamo stando svegli, sonno quanto vediamo dormendo. [21 DK] 

Uno è per me diecimila, se è il migliore. [49 DK]

Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo logos. [45 DK]

Unico e comune è il mondo per coloro che sono desti. [89 DK] – Il mondo per i desti trascende polemos?

Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma suggerisce. [93 DK] – Il Re del mondo lancia solo messaggi in codice.

Ad ogni uomo è concesso conoscere se stesso ed essere saggio. [116 DK]

A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono sempre acque nuove. [12 DK] – La coscienza partecipa attivamente nella creazione della realtà.

Il fulmine governa ogni cosa. [64 DK]

Emil Zatopek

Emil Zatopek, dopo la guerra, si era arruolato nell’esercito cecoslovacco. Alla sera, dopo una giornata di esercitazioni di fanteria, prendeva una torcia e si faceva 20 km per i boschi. D’inverno. Con i suoi scarponi da combattimento. Quando la neve là fuori era troppa alta, si immergeva nella grandi tinozze d’acqua calda dove si lavava la biancheria, e ci correva dentro, facendo quelle che oggi gli allenatori moderni chiamerebbero vasche di sabbia. Per fare forza esplosiva, lui e sua moglie si lanciavano un giavellotto da una parte all’altra di un campo da calcio. Ma l’allenamento preferito di Emil era quello che combinava tutte le cose insieme: gli scarponi ai piedi, la moglie in groppa, e via a correre per le foreste della Cecoslovacchia.

Il suo stile di corsa era tutt’altro che elegante: “Corre come se fosse appena stato pugnalato al cuore” scrivevano i giornali. Oppure: “Sembra che stia lottando con un polipo su un nastro trasportatore”. Ma lui rideva e rispondeva: “Non ha abbastanza talento per correre e sorridere insieme. Fortuna che questo non è pattinaggio artistico”.

Quando arrivò alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, Zatopek era solo un trent’enne con pochi capelli che si allenava da solo, senza allenatore, proveniente da un paese totalmente ai margini del mondo di allora. E dato che la squadra cecoslovacca di fondisti era composta praticamente solo da lui, poteva scegliere le gara da correre. E le scelse tutte: i 5000, i 10000, e la maratona.

I 5000 e i 10000 li vinse facile. Ma la maratona… eh non ne aveva mai corso una in vita sua. Quel giorno ad Helsinki faceva molto caldo nonostante la latitudine, e a Jim Peters, il britannico che era detentore del record del mondo e ovviamente puntava alla vittoria, venne in mente di cuocere Zatopek nel caldo di Helsinki. Impose un ritmo forsennato fin dall’inizio, e al diciannovesimo chilometro erano già dieci minuti al di sotto sotto le record del mondo, quando Zatopek si avvicinò a Peters e gli chiese: “Mi scusi signor Peters, questa è la mia prima maratona… Non è che stiamo andando troppo veloci?”. “No – gli rispose il britannico – stiamo andando anzi troppo piano”. Zatopek lo prese alla lettera e accelerò. L’ironia è che il cotto alla fine fu Jim Peters, che quel giorno non arrivò neanche al traguardo, mentre Zatopek vinse. All’arrivo i suoi compagni non fecero nemmeno in tempo a festeggiarlo ché lo stavano già portando in trionfo gli sprinter giamaicani.

Non puoi pagare qualcuno per correre con una gioia così incontenibile. E non puoi neanche costringerlo a forza. Quando nel 1968 l’armata rossa marciò su Praga per sedare i moti per la democrazia, a Zatopek fu data una scelta: poteva salire a bordo con i sovietici e diventare l’ambasciatore dello sport per conto del regime. Ma decise di non vendere l’anima e così finì i suoi giorni a lavorare in una miniera di uranio.

In quegli anni c’era anche un fondista molto forte australiano, Ron Clarke, che aveva tutto quello che Zatopek non aveva: soldi, libertà, capelli. Faceva incetta di titoli locali o nazionali, ma quando le competizioni andavano un po’ oltre soffriva sempre della sindrome dell’eterno secondo. Nell’estate del ’68, dovette rinunciare alla finale dei 10000 di Città del Messico, che avrebbe stravinto, per il mal d’altura. Distrutto, prima di tornare a essere sbeffeggiato in patria, fece un salto dall’amico Emil a Praga. Mentre lo salutava, vide che infilava di nascosto qualcosa nella sua valigia. Ron pensava che fosse qualcosa come un messaggio da portare oltre la cortina; invece in aereo scoprì che era la medaglia d’oro di Helsinki del ’52; con un biglietto: “Perché te lo meriti”. Regalarla all’uomo che lo avrebbe rimpiazzato nel libro dei record sarebbe stata un’azione molto nobile da parte di Zatopek; farlo precisamente nel momento in cui stava perdendo tutto è un atto di una compassione inimmaginabile. Come disse più tardi un Ron Clarke totalmente sopraffatto: “Non c’è, e non c’è mai stato, un uomo più grande di Emil Zatopek”.

[vimeo https://vimeo.com/83487156]

adattato da Chris McDougall, Born to Run

La mentalità dell’abbondanza

Dio disse: «Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va’ nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò».
Abraamo si alzò la mattina di buon’ora, sellò il suo asino, prese con sé due suoi servi e suo figlio Isacco, spaccò della legna per l’olocausto, poi partì verso il luogo che Dio gli aveva indicato.
Il terzo giorno, Abraamo alzò gli occhi e vide da lontano il luogo. […] Abraamo prese la legna per l’olocausto e la mise addosso a Isacco suo figlio, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. […] Giunsero al luogo che Dio gli aveva detto. Abraamo costruì l’altare e vi accomodò la legna; legò Isacco suo figlio, e lo mise sull’altare, sopra la legna. Abraamo stese la mano e prese il coltello per scannare suo figlio.

(Genesi 22)

Quante persone uno conosce che non hanno il coraggio di tagliare una relazione in cui non stanno bene, o peggio stanno malissimo, solo perché la solitudine sarebbe una cosa più dolorosa?

La rana si trova bene nell’acqua tiepida, mentre là fuori è freddo. Tanto bene l’acqua è tiepida, tanto meno scotta, tanto più la rana sarà invogliata a rimanere nel bagno, inconsapevole che di lì a poco sarà carne bollita. La mediocrità è una trappola subdola, perché l’uomo è essere infinitamente adattabile. E se l’adattamento è sufficientemente lento, risulta impercettibile.

I meccanismi automatici di protezione dal dolore scattano dalla limitatezza dell’ego umano, che si considera sempre povero e cerca solo di proteggere quello che ha. Una mentalità della scarsità impedisce di prendere rischi (rischi calcolati, beninteso), di perdere un po’ di sicurezza e anche di felicità oggi per conquistare qualcosa di migliore domani. Perché si può fallire. Anzi, si fallirà di sicuro. Per l’ego è meglio andare incontro a una morte certa (l’acqua bollente) che sembra un dolce sonno piuttosto che saltare fuori e provare dolore, insicurezza, solitudine, subito.

La mentalità dell’abbondanza implica invece la comprensione di un concetto che già gli stoici e i buddisti avevano riconosciuto: l’uomo è più delle proprie emozioni, è più anche dei propri pensieri. Il cervello è una stupida massa di carne che ti tenderà una trappola dietro l’altra; sta a te conoscere e amare il tuo nemico. Per Abramo Isacco era tutto. Era la discendenza che Adonai gli aveva promesso. Era il figlio insperato concepito a tardissima età; sarebbe stato impossibile averne un altro. Eppure non ha paura di perdere quello che ha. Si fida che se Adonai vuole togliergli Isacco, sarà per dargli qualcosa di migliore. Crede nelle infinite possibilità che si aprono a chi ha voglia e coraggio di rinunciare a se stesso.

E così facendo, vince.

L’angelo del SIGNORE chiamò dal cielo Abraamo una seconda volta, e disse: «Io giuro per me stesso, dice il SIGNORE, che, siccome tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo, io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza s’impadronirà delle città dei suoi nemici.