Teach us to sit still

Ho cominciato a meditare. Regolarmente è una parola grossa, ma ho cominciato. Ho letto La forza della meditazione di Daniel Goleman (il tipo dell’intelligenza emotiva), e mi è particolarmente piaciuto. Ovviamente non è la lettura del libro che mi ha spinto a meditare, quanto viceversa: la mia curiosità di cominciare mi ha fatto comprare il libro. È stata una lettura molto bella, e ho trovato conferme su dei punti che erano da sempre una mia vecchia idea, cioè che:

  1. La crisi delle attuali religioni istituite è derivata proprio dal fatto che pochi fanno esperienza personale del sacro, cioè che pochi hanno avuto o conosciuto qualcuno che ha avuto esperienze mistiche nella propria vita; che le esperienze spirituali personali non sono incoraggiate, mentre tutta l’importanza è riversata in squallide cerimonie pubbliche.
  2. La preghiera nelle religioni cristiane è solo l’ultima sopravvissuta, la più semplice di tutta una serie di pratiche contemplative più intense. Ciò è osservato anche da Thomas Merton (1960). In pratica i nostri egregi pastori, madonna di Medjugorje compresa, propagandando così tanto la preghiera non fanno che tarpare le ali a molti individui con grandi potenzialità spirituali. Che non vuol dire che la preghiera sia male, anzi, ma è solo una parte del tutto.
  3. Le tradizioni orientali sono una cultura esoterica che insegna come fare ciò che le religioni popolari dicono che deve essere fatto: la trasformazione della coscienza. In pratica la perdita (o meglio, il sotterramento) della tradizione esoterica occidentale ha fatto in modo che le religioni, pur predicando la conversione dell’uomo, il risveglio dell’Adamo primordiale, non dicano come si fa perché non sanno come si fa (ok, a parte dire un rosario al giorno). Ciò è terribilmente disorientante e produce la quantità esorbitante che conosciamo di cristiani delle messe di Natale e Pasqua. Le religioni orientali invece forniscono anche la Via.

Inoltre, a parte la speranza e la volontà di raggiungere stati di coscienza più illuminati, sono da contare anche i benefici fisiologici della pratica meditativa. Per me, che negli Stati Uniti mi si diagnosticherebbe subito l’ADHD, la prospettiva di allenare la mia mente all’attenzione e di ottenere una coscienza più lucida e concentrata è allettante. Notare bene: questo aspetto non è scollegato da quello spirituale, dato che, come ogni buon alchimista sa, bisogna lavorare sulla materia, sulla biologia, per poter avere uno sviluppo spirituale. Come ho sentito dire in altre parole, se il peccato originale viene eliminato, la materia torna ad essere sacra.

I benefici della meditazione sono innumerevoli, incredibili, non solo limitati al campo di “mente più lucida”. Ricordo Richard Bandler riportare l’affermazione che 20 minuti al giorno di meditazione risolvono qualsiasi problema. Se non è così, quasi. Ciò farebbe sembrare la meditazione troppo bella per essere vera; in realtà questi benefici non si ottengono dal giorno alla notte, ma dopo mesi, anni, di dedizione alla pratica. Voglio elencare i risultati di alcuni studi come riportati nel libro di Goleman:

  • Goleman e Schwarz (1976) hanno trovato che meditatori esperti confrontati con un gruppo di non meditatori, sottoposti alla visione di un filmato di sanguinosi incidenti di falegnameria, presentano una reazione allo stimolo superiore; ma non appena il filmato è passato, si riprendono dall’eccitazione in modo più marcato dei non meditatori. In altre parole, la mente di un meditatore è più pronta a reagire allo stress, e più rapida a lasciarlo. È meno soggetta all’ansia, definendo l’ansia l’incapacità di abbandonare la reazione di stress corporea quando un problema o un pericolo è finito.
  • Schwarz, Davidson, Margolin, hanno trovato che i cervelli dei meditatori di Gurdjieff presentano un’elevata specificità della corteccia, cioè la capacità di attivare solo le aree del cervello necessarie al compito del momento, lasciando invece inattive le aree irrilevanti. Questo implica un aumento delle capacità di rilevamento sensorio e di controllo muscolare. Questa specificità della corteccia, avere la mente perfettamente concentrata e il corpo rilassato, è quella che permette al maestro di karate di rompere il mattone, e non la sua mano.
  • Kiecolt-Glaser (1984-85) ha scoperto che gli anziani residenti di una casa di riposo che usavano un esercizio di rilassamento mostravano un aumento significativo delle loro difese immunitarie contro tumori e virus.
  • Patel et al. (1985) hanno trovato che la meditazione più sostituire il trattamento farmacologico per l’ipertensione, fino a quattro anni dopo che la pratica è stata interrotta.
  • Surwuit (1983) scoprì che il training di rilassamento migliorava la regolazione del glucosio in pazienti con diabete in età adulta.
  • Kobat-Zinn (1985) trovò che la meditazione abbassava la dipendenza dagli antidolorifici e diminuiva il livello di dolore nei sofferenti cronici.

E l’elenco è molto più lungo e articolato, in realtà.

Ma parliamo dei miei risultati. Quello che mi ha sorpreso, non potendo ancora osservare i risultati a lungo termine, è che bastano dieci minuti di meditazione perché la mia mente sia sensibilmente più lucida, sgombra, libera da pensieri e preoccupazioni, per la successiva ora–ora e mezza. È un ottimo modo per calmarmi quando sono agitato o preoccupato.

Come medito? La posizione è importante, ma anche no. Pensavo fosse difficile meditare da seduti, ma in realtà non è così, a patto che si tenga una posizione corretta di seduta (che sembra più scomoda, ma meditando risulta essere più comoda di una posizione stravaccata o incurvata). Si può anche stare distesi, in questo caso la meditazione potrebbe trasformarsi in un pisolino, ma sinceramente non mi importa. La mia posizione preferita è però questa qui, che ha il vantaggio di avere degli ottimi effetti sulla mia povera schiena (fatta ai piedi del letto o del divano e non di una scatola):

Ho trovato che per iniziare è più facile ed efficace usare una meditazione guidata, io uso Mindfullness Meditation per iPhone. Equanimity è un’altro bellissimo timer per la meditazione che, pur non fornendo nulla di guidato, crea una serie di statistiche e grafici sulla tua pratica.

Oggi come oggi sono solo all’inizio di questo viaggio, e non vedo l’ora di scoprire come andrà avanti. Un ultimo punto sulla diffidenza verso la meditazione che è propria non solo dell’uomo della strada, ma anche del teologo cattolico, dell’ateo scettico, del buon cristiano. Ciò che accomuna questa persone è di appartenere, volenti o nolenti, alla nostro cultura. Lascio che si Goleman ad affrontare il problema:

“La cultura modella la consapevolezza perché si conformi a certe norme, limita le tipologie di esperienza o le categorie per l’esperienza disponibili all’individuo, e determina l’appropriatezza o accettabilità di un determinato stato di coscienza o il suo rapporto con la situazione sociale. […]

Nella misura in cui la realtà è una convenzione convalidata dal consenso, ma arbitraria, uno stato alterato di coscienza può rappresentare un modo di essere antisociale e irregolare.”

Ciao Zano

Lo scorso 28 marzo un mio amico e compagno di università si è tolto la vita. È stato molto strano, in genere io mi sbaglio raramente ma questa volta mi sono sbagliato. Pensavo che Leonardo, meglio conosciuto come Zano, volesse vendicarsi di qualcuno che gli stava vicino, e che evidentemente non gli aveva voluto bene. Lui era un grande burlone, abile giocatore di poker e quindi bluffatore, una faccia di bronzo, vendicativo ma non per impulsività. Vendicativo alla siciliana. Pensavo che quindi sarebbe stato disposto a sacrificare persino la sua vita per portare a termine un piano che aveva deciso. Non disperato quindi, ma molto lucido.

Mi sono sbagliato su molto ma non su tutto. I giornali riportavano la morte in seguito a una delusione d’amore, ma per me non era tutto. Zano aveva pianificato la cosa per bene, cercando tra gli archivi dei giornali le notizie sui suicidi, in modo da trovare il posto adatto per andare incontro a un treno. Ha scelto Stanghella, alla periferia di Padova, dove già un uomo si era suicidato un anno fa, ha scelto l’imbrunire, in modo da non essere notato dal treno, e si è disteso sui binari. In un impulso freudiano ho pensato che sapendo che il suo corpo non sarebbe stato trovato intero, doveva avere avuto del rancore nei confronti dei suoi genitori. Nel frattempo, aveva preso in giro tutti. Non solo il “sembrava normale, un po’ giù ma niente di che”, ma stava deliberatamente portando avanti progetti per il futuro come se si divertisse a celare al mondo ignaro quel segreto che si portava dentro. Eppure aveva già deciso tutto. Bluff.

Mi sono sbagliato su molto. Il martedì successivo sono andato al suo funerale. Hanno parlato i suoi amici, con un messaggio non molto emozionante né granché elegiaco, letto con un terribile accento. È spaventoso come io potessi pensare, in una situazione del genere, che io avrei scritto un’elegia migliore e che quindi potevano darla a me da scrivere. E avrei potuto anche insegnar loro a leggerla in modo decente. Ma vabbé. Ha parlato anche la sua (ex-)ragazza. Per quanto, quando l’amore è finito, le ragazze possano essere fredde come se non ti avessero mai conosciuto, non mi è sembrato questo il caso. Ha detto delle cose incredibilmente intelligenti, e soprattutto ha gettato luce sui motivi del gesto. Facendomi capire che non avevo capito niente.

A Zano non piaceva questo mondo, non gli piaceva questo mondo e avrebbe voluto cambiarlo. Era sostanzialmente un’egoista. Avrebbe voluto una vita di divertimento tutta per sé, anche se questo avrebbe voluto dire calpestare qualcuno. Non doveva essere molto incline a scendere a compromessi. “Leonardo, la vita non è solo piacere, non è solo sesso e soldi…” diceva la sua ragazza mentre non troppe lacrime le rigavano il viso, parlandogli come se fosse ancora lì (e come potrebbe essere altrimenti?”. Non gli piaceva questo mondo e allora ha preferito abdicare una vita che non gli piaceva. Forse non si può dire che fosse forte, ma cosa vuol dire essere forti? Di lui ho ammirato il suo lucido non attaccamento alla vita, il consegnarsi a una morte un po’ simile a quella di Socrate (esagero). Perché la vita è bella certo, ma chi vorrà salvare la propria vita la perderà, e chi sarà disposto a perderla, la salverà.

Era un’egoista e infatti è stato così fino alla fine, dato che ha lasciato due fratelli più piccoli e un sacco di persone che gli volevano bene. Non gliene importava. Forse non si può dire che fosse un grande spirito. Ma chi siamo per poter giudicare?

Mercoledì 28 mattina, verso mezzogiorno, avevo appena preso una bottiglietta di tè verde dalle macchinette in dipartimento. Dalle vetrate scorgo Zano che, fuori in giardino, sta parlando con una ragazza. Aveva il suo solito sorriso furbetto stampato sulla faccia. Vorrei andare a salutarlo, ma poi penso che — insomma — lasciamolo parlare con quella tipa lì. Lo saluterò la prossima settimana.

Così non è stato. E non si può dire che il suicidio di un amico sia tutto male. Non mi lascerò più passare un’occasione del genere.

221b Baker St.

Adoro le persone intelligenti. Bramano di essere catturate. Per l’approvazione, per gli applausi finché durano i riflettori. È la fragilità dei geni — John —, vogliono un pubblico.

Non ho una televisione, ma qualcosa di televisivo lo guardo lo stesso. Mi piacciono le cose investigative, quelle fatte bene dove il tuo cervello gira gira finché alla fine la tua intera visione del mondo crolla sotto i colpi della soluzione dell’enigma. Non Lie to Me quindi. Mi sono imbattuto in Sherlock, versione attualizzata dei romanzi di Conan Doyle. Avevo solo letto, da piccolo, qualche short story o romanzo riassunto adattato per bambini di Sherlock Holmes, e nulla più; ma ricordo che mi era piaciuto molto. Ad ogni modo, Sherlock è bello. C’è la solita dicotomia tra il genio e l’assistente un po’ tonto, che caratterizza tutti gli investigativi del mondo (Poirot ed Hastings fino a Conan e Kogoro). Il lettore o analogamente lo spettatore, per il suo complesso di inferiorità che gli rende impossibile identificarsi col genio, tifa per il rendersi utile dell’illetterato assistente. Cosa che in Sherlock alla fine accade, con grande soddisfazione di chi guarda.

Ho guardato solo i primi due episodi, ma apprezzo il fatto che ci sia una trama più grande oltre le storie dei singoli episodi, che è in genere il fatto che tiene lo spettatore incollato allo schermo. E poi c’è la personalità di Sherlock, nella quale è necessario risucchiare chi guarda. Nel primo episodio è introdotta in modo egregio, anche tramite qualche saggio riferimento alla sua vita privata e orientazione sessuale (il gossip non guasta mai). Nel secondo è a tratti una macchinetta sputa-deduzioni. Ed è noioso. Ecco questo mi ricorda quello che diceva Derren Brown, cioè che il mentalista non è solamente uno che sa tutto ma uno che trasporta lo spettatore in un reame magico dove tutte quelle deduzioni ed elucubrazioni incredibili hanno senso. In questo contesto, un detective che ti spiattella una serie di verità senza fornirti uno scorcio dei suoi processi mentali, una plausibile via di deduzione, è decisamente tediante.

Personalità interessante, ad ogni modo. Non vedo l’ora di guardare gli altri episodi.

To Sherlock Holmes she is always the woman. I have seldom heard him mention her under any other name. In his eyes she eclipses and predominates the whole of her sex. It was not that he felt any emotion akin to love for Irene Adler. All emotions, and that one particularly, were abhorrent to his cold, precise but admirably balanced mind. He was, I take it, the most perfect reasoning and observing machine that the world has seen…. And yet there was but one woman to him, and that woman was the late Irene Adler, of dubious and questionable memory.
     The Adventures of Sherlock Holmes (1892)
Dr. Watson in “A Scandal in Bohemia” (Doubleday p. 161)