La camera nuziale

Traggo ancora da Dialoghi con l’angelo, uno dei libri più potenti che abbia mai letto:

La prima nascita è pagana, materia.
La seconda è purificazione, pianta.
La terza è dedizione, armonia.
La quarta è camera decorata, la camera nuziale.

Questo dal colloquio del 23 ottobre 1944. Ora, nel dicembre del 1945 vengono ritrovati, a Nag Hammadi in Egitto, i rotoli che faranno scoprire al mondo chi erano i cristiani gnostici:

Se qualcuno diventa figlio della camera nuziale, riceverà la Luce. Se qualcuno non la riceve finché è in questo luogo, non potrà riceverla nell’altro Luogo.

Vangelo di Filippo, 127

La camera nuziale era il più alto sacramento per gli gnostici. Tutto questo a ulteriore conferma che i primi cristiani sono stati i più grandi mistici che abbiano mai calpestato la terra, e che il loro insegnamento è arrivato direttamente dall’Alto.

Listone dischi 2011

Come ogni degno listone di fine anno, roundup dei 17 dischi del 2011 ascoltati dal titolare nel 2011:

Ryan Adams – Ashes & Fire: il classico disco di Ryan Adams, sanza infamia e sanza lodo, abbastanza omogeneo dall’inizio alla fine da far risultare la divisione in canzoni persino artificiale. Ritmo mai veloce, melodie sfumate leggermente elettroniche che ricordano il Dylan dei primi anni ’70, è una musica dall’umore sempre cangiante, ideale sottofondo a una pigra domenica pomeriggio passata in un qualche angolo di melanconia. Come se Ryan stesse a mirare l’apocalisse (ashes and fire) dalla sua finestra, ma con grande rilassatezza. Da ascoltare il title track. Voto: 6.

Brunori Sas – Poveri Cristi Vol. 2: Si vede che il Brunori ha il talento genuino di una certa stirpe di cantautori italiani. Però i testi sono di una lamentosità petulante unica. Capisco che c’è crisi e che qualcuno in musica pensi di dover riflettere la cosa, ma l’impressione ascoltare l’album è di stare a sentire i pensionati in autobus che si lamentano del governo e parlano degli esiti delle analisi del sangue. La musica dovrebbe elevare, non mandarti più giù nel fango. Voto: 4,5.

Antonello Venditti – Unica: Il grande Antonio (è questo il suo vero nome), quattro anni dopo il bellissimo Dalla pelle al cuore abbandona il gorgheggiato e i virtuosismi vocali per una cantata un po’ più pulita – e un disco mediocre, a tratti persino inascoltabile. Un capolavoro però il title track. Voto: 5.

Bill Callahan – Apocalypse: Un classico da america profonda ritorna alla luce. Chitarra acustica addirittura a corde di nylon per il brano di apertura (Drover), microfono, e poco altro. Canzoni tenute in piedi dalla voce profonda di Bill, che, solitamente focalizzato sull’interiorità, si ritrova a cantare dei miti che costituiscono l’America. Registrato dove se non altro che in Texas? Dove, a dire il vero, andrebbe anche ascoltato. Voto: 6.

Bright Eyes – The People’s Key: I grandi Bright Eyes sono tornati, con una coinvolgente atmosfera da rock classico. La spiritualità percorre tutto il disco, dove l’inizio e la fine sono caratterizzati da un soffice parlato di ispirazione Zacharia Stichin ben accompagnato melodicamente. E’ forse questo il loro disco più leggero, ma non per questo meno degno. Voto: 7.

Coldplay – Mylo Xyloto: Ero già preparato a mesi di dipendenza da Coldplay, quando ho scoperto che non sarebbe stato così. Mylo Xyloto, un nome che porta con sé qualcosa di giapponese (ironicamente una delle canzoni si chiama Princess of China), ad esempio il profumo di un certo fiore, non è il classico album che esce in questo periodo dell’anno e ti tiene attaccato alle cuffiette tutto l’autunno. E’ pur vero che questi sono però i migliori Coldplay: abbandonano quell’atmosfera melanconica che li aveva caratterizzati fin’ora per andare verso un posto che sembra più casa loro. Mylo Xyloto è, tutto sommato, un disco di felicità ingenua, da teenager innamorato. Voto: 6,5.

Davide Van De Sfross – Best of 1999-2011: Un best of non è un’uscita vera e propria, però val bene infrangere la regola per Davide Bernasconi in arte Van De Sfroos. Chiamarlo il Bob Dylan della Brianza non è esagerare. Ogni canzone è un racconto, ogni racconto è il gioco tra fantasia e realtà di un bambino adulto. Immaginarsi i personaggi del romanzo di Emilio Salgari che, pensionati, trascorrono l’estate a Rimini (in Yanez) è geniale. La sua voce è ammaliante esattamente come quella di Sua Bobbità, il dialetto di Como ha una musicalità incredibilmente superiore all’italiano. Voto: 8,5.

Fleet Foxes – Helplessness Blues: giù il cappello per questi Seattle boys che creano qualcosa di troppo unico, troppo esoterico, troppo strano per trovarci una qualsiasi definizione univoca. Ho letto folk-pop barocco, e credo che sia una buona parola, ma che ancora non dice tutto. Usano una strumentazione oscura non penso solo al mio orecchio ignorante, e vogliono correre il rischio di suonare troppo intelligenti per essere simpatici, di passare per dei primi della classe che si compiacciono di esserlo. La musica è rigogliosa, viva come un quadro di un paesaggio di campagna dove splende il sole. Ci sono riferimenti biblici e a Yeats. Lo scettro degli ultra cool dell’anno va sicuramente a loro. Voto: 6,5.

Joseph Arthur – The Graduation Ceremony: Joseph certamente soffre per una delusione d’amore, tuttavia questo non è un disco così triste come potrebbe sembrare. È tutto reso più elegante, calmo, meno doloroso dai suoi amici, che sono le frequenti apparizioni di strumenti a corda, pianoforti, sintetizzatori e voci femminili. Il risultato è un disco di formidabile confezione, impregnato di autentica atmosfera di Midwest, dove “Non c’è niente da fare se non sognare”. Voto: 7.

Kurt Vile – Smoke Ring for My Halo: Il peso è grande su di te se ti chiami Kurt e porti i capelli lunghi. Soprattutto poi se ti ascolto io. Kurt Vile non ne esce vincitore, ma neanche con le ossa rotte. La sua chitarra fa un eccellente lavoro, si fonde così amabilmente con la voce che sembrano entrambe provenire dalle viscere di Kurt. In un’epoca dove l’angoscia è trasmessa con gli effetti speciali di uno spettacolo di raggi laser, è bello sentire il suo buon vecchio pessimismo da “andiamo a berci una birra da Boe”. Voto: 6.

Lady Gaga – Born This Way: Atteso, attesissimo soprattutto dal sottoscritto è un disco che non delude e se lo fa non è per colpa sua. I singoli che cominciano a girare mesi prima dell’uscita rovinano abbastanza l’uscita, compreso il fatto che il più gettonato, Born This Way, è inspiegabilmente una delle canzoni più brutte dell’album (presente anche nel bonus disc in un remix criminale). E’ comunque la solita grande, grandissima Lady Gaga che, come nell’uscita precedente, alterna capolavori venuti da un altro mondo a canzoni così brutte che avrebbe dovuto fare a meno di includere e gettare nel mucchio dei progetti andati male. Un album non deve avere per forza venti canzoni. Voto: 7,5.

Vitamin String Quartet Performs Lady Gaga’s Born This Way: Non si può citare Lady Gaga senza parlare delle cover versione quartetto d’archi di questro straordinario gruppo della West Coast. Delude un po’ che le canzoni siano solamente sette e ne manchino diverse che sarebbero risultate magnificamente (come Americano, Highway Unicorn). Però sono sempre dei fottuti idoli. Voto: 7,5.

My Morning Jacket – Circuital: Accolto incredibilmente dalla critica, un po’ più freddamente da me. Non si può certo dire che ai My Morning Jacket (un nome meno orribile no?) manchi la creatività: ogni traccia ha sonorità diverse dalla precedente, non ce ne sono due di uguali. In Holdin’ On the Black Metal combinano un’atmosfera funky con un coro di bambini, tanto per dirne una. Voto: 6.

R.E.M. – Collapse Into Now: Il 2011 di questa band che, nata negli anni ’80, assurta all’Olimpo nei ’90, data per finita nei 2000 e ora risorta slanciandosi nei ’10, è un ritorno alla sonorità di Automatic for the People e Out of Time (1991). Come se i R.E.M. avessero voluto attingere al proprio stesso passato per trovare nuove ispirazioni. È un album acustico, pastorale, bucolico. E la voce di Michael Stipe è sempre la stessa, da togliere il fiato. Voto: 6,5.

Roddy Woomble – The Impossible Song & Other Songs: Quando l’ho ascoltato quasi mi è venuto da piangere. Io che avevo sempre sostenuto che Roddy Woomble fosse il più grande cantautore/frontman che la terra di Scozia avesse mai visto e udito. Eppure nello scivolamento in tonalità ancora più medievali (complice il trasloco nell’isola di Mull?) accompagnato dalla sua chitarra elettrica di fiducia sempre incredibilmente grunge, dopo il capolavoro My Secret Is My Silence Roddy non riesce proprio a ripetersi. È un disco che non si ascolta molto volentieri. Che l’era dei grandi Idlewild sia finita? Spero di no. Voto: 5.

The Decemberists – The King Is Dead: Sentivo veramente la mancanza di una buona espressione del rock cosiddetto indie (più o meno dall’ultimo dei Baustelle). Che non ho mai capito veramente cosa voglia dire, ma inevitabilmente quando ascolti qualcosa di indie lo cogli subito. Hanno un retrogusto più che sospetto di R.E.M. (sempre lì: Automatic for the People), ma anche qualcosa degli ultimi Led Zeppelin. Voto: 6,5.

Non Nobis Domine – Ritorno in Istria: Qualcosa di bello mi lega a questo gruppo che dire di provincia è un eufemismo. Ritorno in Istria è una raccolta delle migliori canzoni del gruppo, più un paio di inediti. Le canzoni sono di una genuinità rara e parlano di tempi andati, di un’Italia che non c’è più e che fa commozione ricordare. Le melodie sono coinvolgenti e il cantante potresti benissimo essere tu. Voto: 7.

Eravate paralizzati

Dal Corriere:

«Non occorrevano professori, ci avete chiamato voi». Il premier Mario Monti, interviene alla Camera davanti alle commissioni Bilancio e Finanze. «È verissimo che per fare questa manovra non occorrevano professori. Ma perché questo lavoro non l’avete fatto voi? Ci avete chiamato voi, perché la verità è che eravate paralizzati» afferma Monti nella replica alle Commissioni nella tarda serata di martedì con un pizzico dei ironia e di polemica. E sottolinea come l’Italia abbia deciso di perdere «deliberatamente» quote di sovranità. Poi aggiunge: «Non ho mai voluto un governo dei tecnici. Sono altri che l’hanno voluto. Io non sono nè corresponsabile, nè grande fautore. Io non mi sono candidato per trovarmi nella posizione in cui mi trovo». «Spero torni presto il tempo in cui non avrete più bisogno di professori e tecnici, in cui voi eletti sappiate guardare abbastanza lontano per fare le cose che servono». Dopo la frustata conclude: «A noi è toccato di parlare il linguaggio della verità e vi assicuro che questo è quello che faremo fino all’ultimo giorno».

Non parlo spesso di politica. Anzi, quasi mai. Penso che sia un’attività non solo inutile, ma persino dannosa per lo spirito. Non vedo perché dovrei volgere i miei pensieri a quella genia bastarda di ipocriti. Eppure oggi c’è qualcosa di rimarchevole. La lucidità con cui Monti ha delineato il problema è impressionante, la sua sincerità, vista l’estrazione, è meravigliosa. Il problema sono loro, i politici. Di oggi, di ieri, e di domani. E il problema non avrà soluzione, finché ci saranno i partiti, finché ci saranno i politici di professione, finché ci sarà la “democrazia”.

Eppure, in realtà, qual’è il problema? Che influenza hanno Monti, Berlusconi o chi per loro sulla mia vita? Nessuna. Ci mettono in testa che la abbiano, ma non è così. La manovra costerà sui 500 euro a famiglia. La mia vita cambia davvero? Quest’autunno mi sono comprato un giaccone nuovo. Farne a meno avrebbe cambiato la mia vita? No.

I politici vanno e vengono, le borse crollano e rimbalzano. Le monete si svalutano e si rivalutano, le tasse aumentano o sgravano. Tutto questo cambia davvero la tua vita? Domani sarà per te un giorno diverso se i risultati sulla produzione industriale sono positivi o negativi? Fatti queste domande. E lascia i problemi non tuoi agli impacchettatori professionisti di problemi, lascia la politica a chi è senz’anima per non perdere la tua.

Infidi tecnici

Non vi venga mai l’idea malsana di omettere il catalizzatore se vi trovaste nelle condizioni di usare una vernice bicomponente (cioè che lo richiede). Anche se il venditore trascura di dirvi che dovete usarlo. Il sottoscritto arriva da otto ore in due giorni di scartavetrare. A causa di ciò.

Tutto questo si incastra in un altro dei temi ricorrenti di questo blog: diffidare dai tecnici, sempre. Corollario: se c’è qualcosa che puoi fare (o imparare a fare) tu, non pagare un qualche tecnico per farlo al posto tuo. O rimpiangerai amaramente di averlo fatto.

Tra le categorie peggiori da portare a esempio ci sono ovviamente i meccanici. I parlamentari (altri “tecnici”) non sanno cos’è lo spread o chi è Monti, ma i meccanici non sanno nemmeno cambiare l’olio (2007), figuriamoci distinguere un filtro dell’aria di cotone da uno di carta (2008). Non parliamo poi di diagnosticarti male un problema, comprare pezzi quindi non necessari, trovare il vero problema, farti una riparazione che dopo due settimane cederà, romperti nell’atto un passaruota (nascondendo tutto, ovviamente), presentandoti un conto di 200 euro (molto tristemente, 2011). La riparazione l’ho rifatta io ed è venuta benissimo.

Ma non posso dire altro che di essermelo meritato. Bisogna prendere tutto quello che un meccanico, venditore di colori, idraulico, consulente finanziario (ancora peggio!) dice per falso. Pena una temibile nemesi karmica per non aver usato la tua testa.

Paura della creatività

PsyBlog, un eccezionale blog inglese di psicologia, cita oggi una serie di studi riguardanti la creatività. Più o meno da quando Goleman ha scritto Intelligenza Emotiva (parecchi anni fa), è di moda nel mondo accademico, nell’economia e nell’industria dire che cioè che è necessario oggi che il sapere è così diffuso e facilmente reperibile, è la creatività. Ma se si va a indagare la realtà dei fatti, si scopre che più delle nuove idee è premiato il conformismo. Così è anche a scuola, dove i bambini creativi non sono molto tollerati, vista la loro tendenza a non seguire le regole.

Ovviamente c’è una sconnessione tra quello che le persone pensano a livello conscio sulla creatività e le loro convinzioni inconscie a riguardo, come ha dimostrato un recente studio. Più o meno così è col razzismo: è difficile che  qualcuno su questo pianeta si dichiari razzista, ma se questo asserto viene messo alla prova, si evidenziano dei comportamenti razzisti in una non nulla percentuale di persone.

Tutto ciò sembra sia legato al fatto che una nuova idea porta inevitabilmente con sé una dose di incertezza riguardo il futuro. E l’incertezza è un sentimento che gli essere umani tendono a evitare. Così, per evitare di sentirci male, buttiamo con lo sciacquone le nuove idee e continuamo a fare quello che abbiamo sempre fatto. Inutile dire che è un ragionamento fallace, perché da un momento all’altro possono crollare anche i riferimenti più solidi di una vita. E in quel momento, cosa farai? Verrai risucchiato con loro? L’unica via è porre la propria certezza in ciò che non crollerà mai, in ciò che ancora non esiste.

 

Un tema ricorrente di questo blog è quello dell’educazione. Si è sostenuto diverse volte che le più buone intenzioni nei confronti dei bambini sono uno dei mali più grandi e subdoli di sotto il sole. Ancora peggio perché l’assoluzione sociale e psicologica, date le “buone intenzioni”, è automatica. Aggiungo oggi un passo illuminante tratto da un libro che sto leggendo, Dialoghi con l’angelo:

L. Perché l’uomo vuole avere tutto, e tutto già pronto?
– Infanzia viziata.
Giocattoli pronti – sapere pronto –
cibo pronto – esperienze pronte.
Queste riceve il bambino, e ne prova disgusto.
La sua sete di conoscenza, la sua gioia di creare –
tutto ciò che forma veramente l’essere umano, inaridisce.
La gioia di sperimentare?
I tanti, buoni conisgli la uccidono.
Tutto questo è vigliaccheria e mancanza di fede.
QUANDO IL BAMBINO DIVIENE ADULTO,
TUTTO IN LUI È GIA’ MORTO.

Ayn Rand e i Griffin

Riguardo Ayn Rand e la sua opera più importante, La rivolta di Atlante (1957):

Un tema ricorrente lungo tutto il libro è che la società moderna sta mietendo un raccolto fallimentare di postmodernismo e collettivismo cultural-relativista. La cultura è decaduta così tanto che le persone si sono ridotte agli istinti più bassi, e una paura esistenziale (data dal non avere valori oggettivi su cui formare il proprio codice morale) le fare ritirare all’interno di organizzazione collettiviste e attaccare chiunque aneli alla grandezza inviduale. In un clima del genere le persone glorificano la mediocrità e il fallimento, rovesciando i valori umani di duro lavoro, abilità, e creazione di ricchezza.

Ora nominiamo il cartone animato più popolare tra i teenager (e anche fra i vent’enni). Sono i Griffin. La storia di un obeso e insulso uomo di mezza età, incapace di compiere la benché minima azione sensata. Non nego, anche a me fa ridere parecchio. Ma non sono risate di simpatia. Peter Griffin non mi sta simpatico. A molti, invece, penso sia simpatico. Lo assumono inconsciamente come modello, perché vedono in lui la giustificazione della propria mediocrità, un fratellone con cui condividere fallimenti, esaltare la propria pigrizia e golosità. Lui è la fonte morale da cui scaturiscono gli imperativi che tracciano la strada per eccellere (finalmente eccellere!) nel campo del ritardo mentale.

Alla fine, nel cartone animato, dopo che Peter Griffin ha bruciato la casa o ucciso il suo migliore amico, arriva il Deus ex machina del disegnatore a ripristinare tutto com’era prima non appena inizia la puntata successiva. Nella realtà, lo spettatore dei Griffin invoca il welfare, la scuola, lo stato, qualcun altro purché non sia lui, a porre rimedio alla sua miseria.