L’ipocrisia del doping
24 ore prima dell’inizio di questo Tour arrivano i documenti ufficiale delle indagini spagnole che costringono i direttori sportivi (in base al famoso “codice etico” varato da Manolo Saiz, fatalità indagato numero uno) a sospendere i corridori presunti coinvolti. Le accuse sono pesanti, le sacche di sangue sono tante. Sembra di rivivere quei giorni neri del ’98. Ancora peggio, perchè dal ’98 la parola doping, sparata lì in una qualsiasi conversazione da chiunque non sia pratico dell’ambiente, mette terrore negli occhi dell’interlocutore. Tutti che si affrettano a firmare accordi etici, tutti che si affrettano a professioni di estraneità. E’ così, una qualsiasi indulgenza, anche moderata, attira gli occhi sospettosi degli organizzatori, ti fa entrare nel novero di quei mostri, e magari il giorno dopo ti trovi uno scoop su L’Equipe o su El Pais dove qualcuno ti ha visto scaricare di notte un sacchetto di siringhe dentro un tombino. Allora tutti si fanno ipocriti: prendono le distanze, si riempiono la bocca di frasi fatte dell’organizzazione. Ma non possono fare altrimenti.
Non mi risulta che Jean Marie Le-Blànc sappia cosa voglia dire andare in bicicletta, non mi risulta abbia mai bagnato col suo sudore il tubo di un telaio; io l’ho sempre visto seduto in ammiraglia. Eppure dispensa sentenze, direttive, lezioni di moralità. Impone cosa si debba pensare sul doping e su chi ne fa uso, condanna chi è solo indagato. E mi pare che la prima regola di giustizia sia che nessuno è colpevole fino a prova contraria, ovvero fino a una sentenza.
Non so se Damiano Cunego fa anche lui l’ipocrita quando si tira sdegnatamente fuori con parole amare, non so se Ivan Basso sia veramente colpevole. Io solo aspetterei a chiamare il rinnovamento del ciclismo, a chiamare la bonifica dalle fondamenta, ad annunciare lezioni sommarie e a rivendicare una sportività dilettantistica in un sport professionistico. Soprattutto se non da sopra una bicicletta.
Non mi risulta che Jean Marie Le-Blànc sappia cosa voglia dire andare in bicicletta, non mi risulta abbia mai bagnato col suo sudore il tubo di un telaio; io l’ho sempre visto seduto in ammiraglia. Eppure dispensa sentenze, direttive, lezioni di moralità. Impone cosa si debba pensare sul doping e su chi ne fa uso, condanna chi è solo indagato. E mi pare che la prima regola di giustizia sia che nessuno è colpevole fino a prova contraria, ovvero fino a una sentenza.
Non so se Damiano Cunego fa anche lui l’ipocrita quando si tira sdegnatamente fuori con parole amare, non so se Ivan Basso sia veramente colpevole. Io solo aspetterei a chiamare il rinnovamento del ciclismo, a chiamare la bonifica dalle fondamenta, ad annunciare lezioni sommarie e a rivendicare una sportività dilettantistica in un sport professionistico. Soprattutto se non da sopra una bicicletta.
Intanto però, per un motivo o per l’altro, questo tour parte spuntato, senza favoriti. Intanto però c’è anche un certo signore in giallo. Go for it, vecchio George. Io punto su un terzo americano a Parigi.